venerdì 24 aprile 2020

Socrate o Alcibiade?




Nell’ambito delle citazioni, “La bellezza salverà il mondo” di Dostoevskij è l’equivalente del volto di Che Guevara sulle t-shirt.

L’invito è quello di scoprire il senso di cosa intendeva lo scrittore russo non ammirando paesaggi sui social network o selfie studiati a tavolino per fingere di ricreare il quotidiano e di essere meno schiavi della Kalokagathia (una connessione tra il bello e il buono).


Il tramonto più spettacolare che riversa nel cielo le più meravigliose sfumature di colori è un fenomeno atmosferico che è del tutto estraneo al gusto estetico dell'osservatore. Chi si esibisce con una fotografia usa filtri e luci, si mette in posa e studia anche l’espressione per creare qualcosa di falso che pretende di essere vero.


Non basta essere bello per essere buono.


Se non siete d’accordo e pensate che sia una massima universale, un equivalente dell’imperativo categorico, allora dovrete ammettere che Ted Bundy era una persona buona e i brutti son sempre persone cattive.

Ve la sentite di sostenere una fesseria del genere?


Nell’essere umano la bellezza è un’ottima presentazione. In passato si sosteneva che un aspetto fisico gradevole fosse in grado di influenzare i giudici a infliggere meno anni di prigione agli assassini, ma non può e non deve essere tutto a meno che non si voglia essere ridotti a una bella immagine.

O un bel fantasma.


Per quanto mi è possibile cerco di non farmi abbagliare dalla bellezza e, sempre per quanto sono in grado, cerco di grattare via lo strato di pirite prima di capire se fidarmi o meno di qualcuno.

Se non lo sapete, la pirite è l’oro degli sciocchi… come lo è la bellezza.


D’accordo non tutti i belli sono persone spregevoli, non vorrei incrinare delle vanità o torcere le budella a qualche insicurezza, ma non siamo così affrettati e superficiali da emettere giudizi solo guardando la buccia, cerchiamo di valutare soprattutto la polpa.


Anche l’occhio vuole la sua parte, ma state attenti a non perdere di vista le cose importanti.

Ricordatevi sempre di non sfamarvi per come appare, saziatevi con quello che è.



L’assassinio di Socrate è un romanzo storico scritto da Marcos Chicot, ambientato nella Grecia dal 437 al 399 a.C.

Oltre a ripercorrere l’esistenza e gli insegnamenti del filosofo, ricrea la vita, le opere e le gesta ai tempi della Guerra del Peloponneso, un periodo storico in cui Atene e Sparta erano in lotta per la supremazia. Una ricostruzione ottenuta incrociando la storia di diversi personaggi delle due polis e, per volere degli dei o dello scrittore, i loro destini si incrociano mentre la Storia prosegue nel suo cammino.


Oltre alla passione dell'autore è ben visibile la profonda preparazione storica e documentale per la stesura di un romanzo che non è solo bello, è anche buono. Quello che è puro nozionismo da liceo, nelle pagine diventa vita e si comprende meglio perché Sparta ha sfornato i migliori soldati della storia o come Pericle trasformò Atene in una realtà inimmaginabile per i tempi.


Sia dal punto di vista dalla città protetta da Atene che da quella di Eracle, è possibile capire quanto la vita di ogni cittadino libero fosse impegnata nella gestione del governo, ricettiva alla cultura e scandita dalle celebrazioni religiose o di come il responso di un oracolo potesse influire su un’intera esistenza o il destino di migliaia di opliti.


Se questo sembra essere il minimo per un romanzo storico, ricordo che molto spesso ne vengono pubblicati alcuni che sono più prossimi alla fantascienza e spesso e volentieri i personaggi principali sono più simili ai vari Eroi greci rivisitati da Hollywood che a uomini esistiti nei tempi antichi.

Una lettura godibilissima anche per chi è a digiuno di Storia e Filosofia, non è necessaria nessuna competenza per imparare o riscoprire due discipline che hanno molto da offrire.


Socrate è stato un filosofo importante, non è un caso se chi lo ha preceduto è definito pre-socratico, ma oltre all’innovazione portata dalla continua ricerca e la consapevolezza di sapere di non sapere, ha sempre mantenuto una coerenza tra ciò che diceva e ciò che faceva.

A quanto ci è stato riportato, era brutto… a differenza di Alcibiade, uno dei suoi discepoli più belli che però fu un individuo discutibile sia per gli eccessi del suo stile di vita che per alcune azzardate scelte politiche.




Alla nascita del legame tra bellezza e bontà, un concetto partorito dall’eloquenza di alcuni sofisti noti soprattutto per essere in vendita al miglior offerente per far trionfare con le chiacchere la validità di qualunque opinione, esisteva già questa eccezione che dimostra quanto sia più importante ciò che una persona è attraverso le azioni che compie piuttosto di quanto sia più o meno bella.

Altra importante distinzione è tra ciò che uno dice e ciò che uno fa…. Ma ho già abusato della vostra pazienza e mi limito a citare Al Pacino: “Le parole sono nani, i fatti son giganti”.

Buona lettura.


giovedì 26 marzo 2020

Vista universo.




Vista universo.

L'appartamento di Gianluca è simile a tutti gli altri. Anche in questo ci sono abbastanza punti luce per illuminare un angolo cottura grande quanto una monoporzione surgelata, una camera da letto appena più larga dello scendiletto, un bagno con doccia al soffitto e scarico incorporato nel pavimento, un ingresso per incastrare scarpe, chiavi e ombrello. L'unica differenza è uno squarcio sul muro, un’apertura da cui è possibile godere di una vista privilegiata sull'universo con tanto di stelle, pianeti e tutto quello che di norma galleggia nello spazio profondo.
Dall'esterno del palazzo si nota solo la necessità di una mano di colore per ravvivare la facciata dell’unità abitativa ad alta concentrazione ricavata dagli abbondanti spazi del Convitto Ceretti, già noto come ex Monastero Vocis Dei.
Chissà cosa hanno combinato i frati con tutte le loro preghiere, ma poco importa, poiché il buco è un coinquilino piacevole, loquace e dal quale esce una leggera brezza profumata di violetta.

*

“Fammi capire, dici che gli spaghetti sono il miglior piatto del mondo?” Gianluca ha l’aspetto di un uomo centrifugato da una lavatrice maligna e ingannevole ma, nonostante l’apparenza, è comunque multitasking e in grado sia di parlare al buco che di leggere un articolo scovato su Facebook contro i complotti orditi dalla Nasa.
“Certo che te lo dico, se vuoi te lo ripeto.” La voce che risponde è così comune da essere anonima. Nessuna inflessione del sud, del nord, dell'ovest, dell'est o di qualunque punto cardinale conosciuto. Mancano anche il tono perentorio da divinità onnisciente o gli accenti striduli in grado di ricreare i movimenti delle simmetrie del creato.
Insomma, è la voce di un buco.
Gianluca apprende la notizia sulle preferenze culinarie del coinquilino, mentre solo leggendo il titolo del post capisce tutto. La foto allegata di un’astronauta con tanto di tuta spaziale conferma le incredibili assurdità diffuse in rete dalla agenzia spaziale a stelle e strisce.
Possibile che ai cervelloni di Houston sia sfuggita la presenza della miscela di azoto, ossigeno e profumo di violetta nelle distanze siderali? L'aria c'è, ma è trasparente, ecco perché quei fessi non riescono a vederla, pensa e abbandona lo smartphone sul divano.
Per restare sul pezzo, scuote la testa. “Scusa, ma ieri non dicevi la stessa cosa ma a proposito della cucina cinese?” Si sforza di ricordare, poi completa il pensiero: “l'anatra alla pechinese, – schiocca le dita – eccolo il miglior piatto del mondo.”
“Vedi, parli ma non ascolti.”
“Ah dici?”
“Certo, ti ho detto che l'anatra era buona, parlavo di gusto, ma i migliori sono gli spaghetti, per la precisione quelli con il ragù dato il loro giusto apporto di carne e verdura.”
“Va bene, però” Gianluca si alza, gira attorno al tavolino in compensato laccato e lascia in sospeso il dialogo.
“Però cosa, qual è il problema?”
“Vedi, - strofina i calli del palmo e li direziona verso l’etereo compagno – questi me li sono fatti per causa tua.”
“E quindi?”
“Quindi mi sembra di avere fatto abbastanza. Eri solo un sussurro dietro a qualche mattone, ora sei peggio di una radio senza musica, cazzo proprio non riesco a spegnerti, e ora pretendi pure che ti sfami.”
“Tu mi hai liberato, ora sei così spregevole da volermi lasciar morire di fame?”
“Ok, ho capito, - solleva le mani in segno di resa - vada per la Scaglietti, ma con tutte le sigarette che fuma più che un piatto di pasta quella è una striscia di carne affumicata.”
“Non preoccuparti, ho preso il meglio di Mr. Wang, prenderò il meglio anche da lei.”
“Non preferisci cambiare menù?”
“No, voglio la Scaglietti.”
“Non credo sia una buona idea.” Risponde e ricomincia a palleggiare lo sguardo sui mobili dozzinali sparsi a caso nell’ambiente, poi prosegue: “due che abitano nello stesso piano spariscono dall'oggi al domani, non credi sia una coincidenza troppo strana?”
“Quanto la fai lunga, tutti si accontenteranno della spiegazione più semplice.”
“Quale, quella che sono stati sbranati da un buco nel muro?”
“No, penseranno che Made in China e la Vedova Allegra sono fuggiti assieme per iniziare una vita fatta di amore e fotti fotti interculturale.”
“Con l'età che ha potrebbe essere più la madre che l'amante.”
“Sai cosa ti direbbe la Scaglietti?”
“No.”
“Ignorante, non lo sa che la gallina vecchia fa buon brodo?” Questa volta il muro ha il timbro del raschietto che la decana usa per esprimere le sue massime.

*
La lunga fila di scatoloni marroni sul pianerottolo è la copia della Grande Muraglia Cinese, a compiere l’ennesima imitazione è stata la signora Wang, una donna in formato ridotto con un nome impronunciabile. Dopo la scomparsa del marito si è barricata dietro uno strato di oggetti per difendersi dalle intrusioni dei barbari. Chiunque le chieda notizie del consorte, riceve in cambio un accenno di sorriso e un lieve inchino del capo.
“Salve, le piace l'anatra alla pechinese?” Gianluca trasforma il suo arrivo in una presenza ingombrante.
La cinese deposita un’altra scatola di cartone poi accenna un sorriso, china il capo e sparisce dietro la porta dell’appartamento.
Gianluca scavalca l'ostacolo e arriva davanti alla porta di Marialuisa Rosselli Vedova Scaglietti. Batte con le nocche due colpi secchi e attende.
“Maledetti musi gialli.” La cattiveria preannuncia l'entrata in scena della femmina malalingua. “Ah, è lei?” Tira una boccata dalla sigaretta e sfiata una nuvola cancerogena.
“Sì, buongiorno.”
La Scaglietti si sporge dalla porta. Nonostante la pelle incartapecorita da una vecchiaia indefinita mentre arriccia il naso sul volto appaiono ancora altre rughe. “Per forza abbiamo perso la guerra, mi domando perché Benito si sia fidato di quegli animali ignoranti.” Il lutto persistente, i capelli grigi tendenti al viola quaresima, una croce appesa al rosario tornano a fissarlo e aspettano una reazione.
“Benito, ma suo marito non si chiamava Giovanni?”
“Ignorante.” La mummia difetta nei sinonimi quando sproloquia ma compensa la carenza con un mix di arroganza e aggressività. Il nervoso le provoca l'effetto ciminiera e scarica con più frequenza nubi mefitiche. “Studia un po' di storia invece di scocciarmi.”
“Veramente non sono qui per parlarle di storia, volevo farle presente che sul mio soffitto c'è una macchia di umidità. Non è che ha avuto qualche perdita d'acqua?”
“Saranno stati loro, - a colpi di tosse cerca di battere il verdetto contro la famiglia Wang – noi italiani siamo brava gente sa, lei non deve permettersi di accusarmi o insultarmi, ha capito?”
“Ho capito, ma i signori Wang non c'entrano nulla, sono innocenti. Sopra di me c'è il suo appartamento.”
“Signori? Perché io sarei una sguattera? Innocenti, quelli? Lo sa che è per colpa loro se abbiamo perso la guerra?”
Gianluca lancia una ricerca nell'archivio mnemonico. Alla voce Seconda Guerra Mondiale trova un indizio per sbrogliare il putiferio verbale. Mussolini, forse Benito, fascisti, nazisti, giapponesi.
“Benito non si erano alleato con i cinesi ma con i giapponesi e, se non ricordo male, tra i due popoli non correva buon sangue” dice, nella speranza di stoppare il veleno con cui la serpe affila la lingua.
“Cinesi, giapponesi, tutti uguali. Che tornino al loro paese e tu, visto che li difendi tanto, vai con loro.” Questa volta il dito finisce puntato contro di lui.
“Signora, quello che le pare, ma vorrei che scendesse a vedere il danno.”
“Ma come si permette? Mi porti rispetto, sono vedova ma non stupida. Lei tenta con l’inganno di attentare alle mie virtù. La smetta di insultarmi perché io sono bella e buona, ma se mi fanno girare i cinque minuti non so quello che faccio.”
“Ma io non sto attentando alle sue virtù.” Non riesce a finire la frase perché viene travolto da un’altra raffica di parole sparate dai bronchi marci.
“Dicono tutti così quelli come te, io li guardo i telegiornali e so come sono fatti gli ignoranti. Ma tanto perché ti parlo assieme, intanto non capisci che dico solo le cose come stanno.”
“Signora, le posso dire una cosa?”
“Sentiamo!”
“Tutto quello che esce dalla sua bocca rende il mondo un posto peggiore.” Gianluca parcheggia un pugno al centro dell’anziana, mandando a dormire tutti i neuroni razzisti che le affollano il cervello.

*
“Tutte le donne cascano ai tuoi piedi o funziona solo con le vecchie?”
Gianluca trascina la quasi salma dal colletto della camicia, facendo strisciare le ciabatte viola sulle piastrelle. “Lascia stare, non è giornata.” Senza scrupoli strattona il sacchetto dell’immondizia in pelle umana per scaricare la tensione. “Vedi di sbrigarti e non ti ci strozzare con questa.”
“Calma, non c'è fretta. Svegliala.”
“Perché?” Le braccia cedono ma non per lo sforzo, la vedova peserà si e no sessanta stecche di sigarette, ma per la scocciatura di doverla rianimare.
“Un piatto sveglio è più gustoso.”
“Credimi, questa ha un sapore sgradevole sia da sveglia che da bella svenuta nel bosco.” Scuote la testa e decide di non venire meno alle buone regole dell'ospitalità. Avvicina una sedia in plastica e ripone la portata principale sulla seduta. Non ne viene fuori una bella presentazione come quelle che si vedono in tv con gli aspiranti cuochi, ma tant’è. Dalla cucina recupera un bicchiere, resiste alla tentazione di svuotare la vescica per condirla e lo riempie di acqua.
Prima di benedirla, la voce interviene: “ah, spogliala.”
“Stai scherzando, perché con Wang non ti sei fatto tutti questi problemi?” Gianluca risponde con una domanda, non è da educati certo, ma è meno scomodo che sbucciare la Scaglietti.
“Delle primizie mangio solo la polpa.”
“Questo è troppo.”
“Dici?”
“Non lo faccio.” Un atto di ribellione è cosa buona e giusta, però la rivoluzione si fa in piazza schivando proiettili, non nel salotto di casa a colpi di chiacchiere.
Gianluca si mette in posa per rafforzare la sua decisione, ma qualcosa non funziona. Pur avendo smesso di inspirare, i polmoni continuano a espandersi contro la sua volontà.
“Vuoi fare il grosso, vediamo quanto riesci a gonfiarti prima di scoppiare.” Il buco riesce sempre a ottenere ciò che chiede.
Le costole spinte dall'azione dilatatoria stressano la cartilagine nei punti critici sulle vertebre e sullo sterno, l'epidermide però non si dilata e tende a comprimere. I muscoli intanto si scaldano più della piastra elettrica su cui cuoce le bistecche e il dolore si converte in sudore ma, se non si decide al più presto, sarà più probabile vederlo esplodere che mutarsi in una pozza salmastra.
Appena pensa alla resa, la tortura termina. Perde i sensi, crolla ai piedi della strega e assume la postura di una pelle di leone. Il bicchiere gli sfugge dalle mani e la percentuale di umidità nei dintorni schizza oltre al cento per cento.
“Va bene, riposati un attimo.”

*
Il ritorno dall'incoscienza è un viaggio turbolento, l'emicrania accelera nei tornanti e lo stomaco rallenta nei rettilinei.
“Eravamo rimasti che tu la spogliavi, però se non ti va di farlo” La frase è incompiuta, ma non c’è bisogno di altro, Gianluca è in grado di completarla senza fare errori.
Il busto gli fa più male di una delusione amorosa ma meno di un colpo di pistola al cuore.
Si rialza ignorando i rumori sinistri prodotti dalle articolazioni e si concentra nel lavoro di esfoliazione dell’ospite geriatrica.
L'orrore nel toccare quella scorza avvizzita gli fa scoprire nuove sfumature della parola ribrezzo.
Gianluca è disgustato dall'orrido spettacolo, dolorante per la forza persuasiva degli argomenti del buco ma non ancora sconfitto. Raccoglie il bicchiere da terra e, tornato in cucina, apre il rubinetto ma questa volta decide di risparmiare dell'acqua e spillare un po' di urina.
“Pensi che condita all'ammoniaca possa avere un gusto migliore?”
Svuota nel lavandino il nettare crudo e ambrato. “Credimi, ti avrei fatto un favore” dice e mostra il contenuto dell’acquasantiera fatta in casa.
“Così va meglio.”
La stagionata riavvia la sua malvagità quando il temporale casalingo le si schianta sui lineamenti retrò. Alla vista dello squarcio stellato e della propria nudità, la Scaglietti urla con tutto il fiato che ha in corpo: “al fuoco, aiuto, al fuoco.”
“Falla stare zitta.”
Gianluca tenta di smorzare i decibel con una mano ma la cariatide è una che gioca sporco e coglie al volo l’occasione per affondargli i denti nell’incavo tra pollice e indice.
Ora a urlare sono in due.
Con uno strattone deciso si libera della vecchia ma non della dentiera che continua a morderlo.
Con un nuovo scossone vola via anche la protesi. Non sapendo cosa infilare nella bocca della maliarda, decide di raccoglierla e ricacciarla da dove è venuta ma avendo l’accortezza di infilarla al contrario.
Le pupille della vedova Scaglietti sono a mollo nelle lacrime e rimbalzano più di una pallina in un flipper. Stanno cercando di scovare un perché, anche uno a caso può andare bene, basta che doni un senso compiuto alla realtà in cui imboccare una diversamente giovane con dei denti posticci è la normalità.
“Perché urlava al fuoco?” Chiede il buco.
“In tv consigliano sempre di urlare al fuoco, la gente è più propensa a intervenire per fare l’eroe tra le fiamme che salvando una fanciulla da uno stupratore.”
“Siete strani voi umani ma in fondo siete così buoni. Portamela, è pronta.”
Le orecchie della Scaglietti intercettano il messaggio, passano al corpo l’informazione di iniziare a tremare con la stessa intensità e frequenza di una foglia inchiodata male in un tunnel del vento. Vibrare più di un cellulare molesto non le impedisce di finire nelle fauci del carnefice.
Una volta che è parte della vista universo, l’espressione arcigna della Scaglietti si trasforma in un sorriso più rilassato di quello della Madonna con bambino. Come fu già per Wang, attraversare la soglia ha il potere di trasformare la caducità umana in eternità olimpica.
Cosa vedono là fuori? pensa Gianluca.
Riflette sulle differenze. L'orientale poteva anche essere dedito allo Zen, allo yoga o qualunque altra droga mentale che poteva ridurlo allo stadio bovino rassegnato ma la vecchia non era il tipo da sintonizzarsi sulle energie positive, spalancare i chakra o lasciarsi sodomizzare dalla Grande Anima, era caustica da corrodere la santità.
Allora cosa vedono là fuori che li rende così beati?
La speculazione riflette, non scopre nulla. Sveste i panni del filosofo, si accomoda tra il buco e la finestra e si maledice di non avere foderato con dei teli di plastica l'intero appartamento.

*
Ogni fluido viene escluso e restituito alla terra, forse per fare da concime alle generazioni future, ma non prima di essere stato agitato e non mescolato. Per lo più torna indietro sotto forma di pioggia rossa che, incurante della forza di gravità, si sposta ad alta velocità attraverso la sala da pranzo e l'ingresso per schiantarsi contro la porta blindata. Migliaia di piccole gocce infettano in ordine sparso mobili, muri, soffitto e pavimento.
Non si tratta di un banalissimo spruzzo, ma di un intervento preciso e calibrato perché, terminata l'opera, ovunque ci sia abbastanza sangue si può leggere la scritta latina: relata refero, riferisco ciò che mi è stato detto.
“Avevi ragione tu, era un piatto amaro.”
“Te lo avevo detto.” Risponde, calcolando quante ore gli ci vorranno per pulire. Non si perde d'animo e prende l'iniziativa. I vestiti di foggia antiquata lasciati in eredità, vengono elevati al rango di stracci per asciugare. Dalla scarpiera estrae un sacco di segatura e lo cosparge facendo delle strisce per arginare ogni eccesso cremisi.
“Cosa significa quella scritta con il sangue?” Cerca indizi e parte da lontano per non destare sospetti.
“Non prendermi in giro. Sei curioso, vuoi sapere cosa vedono?”
Gianluca si avvicina, guarda le stelle ma non prova a collegarle per ricondurle a qualche costellazione nota. Non ha il tempo e la voglia per farlo, ma la curiosità è tanta. “Ma cosa stai dicendo?”
“Vuoi conoscere i segreti dell’universo?”
“Avrò le risposte delle domande tipo chi sono, da dove provengo, eccetera eccetera?”
“No, quella che vedrai è La Risposta.”
La fisica della conoscenza coincide con quella dei campi magnetici; attrae a sé gli elementi compatibili e non esercita nessun vettore nei confronti del materiale inerte. Ed è meraviglioso sapere che nonostante l’intensità della forza, la massa priva di carica non subisce alcun influsso ed è libera di sprecare la propria esistenza.
Gianluca compie il primo passo verso La Risposta. Per millenni l'uomo ha alzato lo sguardo al cielo cercando di scoprire il segreto delle coppie litigiose del calibro: il destino o la volontà, il caso o il caos, il bene o il male. Pensare che con uno sguardo potrà rispondere in maniera definitiva alle domande Coca-cola o Pepsi, Beatles o Rolling Stones, il pesce con o senza il formaggio, infradito con o senza calzino, lo inebria e lo fa sentire un gradino più vicino a Dio.
Nei concetti che affollano la sua mente si fa avanti con prepotenza l'immagine della Fiamma e della Falena.
Un brivido freddo lo congela.
Non vorrà mica uccidermi? Pensa.
“Cosa c'è?”
Trattiene il fiato, poi guarda i pochi resti della vedova Scaglietti.
No. Non può farlo. Senza di me non può sopravvivere. Il sorriso è il segnale di aver trovato la certezza su cui costruire l'autostima e il suo regno. Senza di me non può mangiare. Se lo scoprono, tra Nasa, Cia, Fbi e scienziati pazzi gli infilano dentro tubi, supposte e tutte le porcherie che riescono a immaginare. Passa una mano tra i capelli neri, aumenta di una tacca l'indicatore del buonumore che ha tra le labbra. Non sono lo schiavo, io sono il padrone.
Ha vinto la paura della morte, è un uomo libero.
“C'è che posso pulire dopo” dice, per nascondere i propri pensieri.
“Sei pronto?”
“Certo.”
Abbassa le palpebre, inspira profondamente e sente il tocco lieve del profumo dell'infinito. Si sporge a dare un’occhiata al luogo da cui nessuno è mai tornato vivo.

*
Le briciole di luce e lo sfondo cupo sono spariti, annegati nell'inconsistenza grigia che si espande verso ogni direzione.
Vede quello che una grassa tangente ispira all'assessore corrotto: un monotono oceano di cemento.
Il cervello si paralizza alla minaccia di un pericoloso assassino senza volto, il cuore scaglia il sangue verso le estremità e l’adrenalina lo spinge verso l’eccesso. La mente scatta verso ogni dove, amplifica i pensieri e si dilata sino a dissolversi.
L'anima di Gianluca non riesce a stare ferma, è inchiodata dentro una bara di carne, ossa e sangue.
Un tuono lo scuote.
“Cosa vedi?”
“Niente.”
“Guarda meglio.”
Con un moto circolatorio indaga l'uniformità del paesaggio. “Chi sei?”
“Io sono Colui che sono.”
Qualcosa lo afferra allo sterno e lo strattona. I piedi scivolano e perdono il contatto con il pavimento. Galleggia.
Un formicolio s’insinua sotto la pelle, suda sangue da tutti i pori disponibili e un gorgoglio strozzato accompagna ogni singola goccia. Il liquido vischioso attraversa indenne i vestiti, converge verso un punto e crea un fantasma rosso con le sue sembianze. 
La carne trema, il sistema nervoso collassa e delle scariche di corrente alternata lo mantengono cosciente. Muscoli, cartilagini, viscere vibrano e si staccano dalle ossa. La colonna sonora della separazione è un fruscio distorto discontinuo a metà tra la carta strappata e le unghie sulla lavagna. La sua buccia scivola alla sinistra dello spirito. Lo scheletro marrone infine lo abbandona e completa la trinità. 
L'inconsistenza amalgamata al vuoto lo priva della sostanza.
Si diffonde un odore di chimica marcia. La putrefazione aggredisce le spoglie. La cute pallida tende al verde malato, alcuni brandelli si staccano e penzolano tali e quali a delle bandiere a mezz'asta. Il resto si gonfia sino a esplodere e dalle ferite purulente si leva una sinfonia suonata da migliaia di vermi.
Divorano, dilaniano e sbranano, non lasciano nemmeno cadere una briciola dal banchetto.
L'effetto sull’essenza di Gianluca è un abbraccio pesante quanto un'ancora gettata nell'abisso. Resiste, suo malgrado, e assiste alla lenta frantumazione dello scheletro. Si sgretola con la stessa velocità della cenere di una sigaretta consumata e mai fumata. Attirato verso profondità inimmaginabili e orfano del sostegno, implode e diventa il grumo attorno a cui ruota la sua coscienza.
Lo spirito sanguinario lo osserva, ghigna felice e accenna a un saluto con due dita sulla fronte prima di scattare verso la breccia da cui Gianluca era passato.
Non appena è solo, quello che resta di Gianluca soffoca.
Per sempre.
Fine delle trasmissioni.
Game over.

*
Una notevole quantità di sangue si aggiunge a quella già presente. Osservando con attenzione, gli stracci della donna e le strisce di segatura conferiscono al laghetto l'aspetto di un piatto di spaghetti al ragù.
Sul muro la finestra inquadra i passanti inseguiti dalla fretta, i negozi deserti e macchine rognose che azzannano il traffico.
“Qualcuno pulirà.” dice il buco, poi i lembi si chiudono senza nemmeno lasciare la cicatrice sul bianco della parete.
Al suo posto appare un quadro con tanto di cornice dorata in cui i dodici segni zodiacali giocano al girotondo.

*
Xiang Maguangdong vorrebbe piangere, ma non ci riesce. Da quando Huang è uscito e non è tornato, si è ritrovata sola in un mondo che non riesce a capire. Lei non conosce l’italiano, se non poche parole inutili. Alla stazione di polizia le avevano affiancato un interprete, ma la ascoltava indifferente e dava l'impressione di tradurre poco e male la sua angoscia.
La solitudine e la disperazione l'hanno spinta a svuotare l'appartamento. Cosa farà dopo, ancora non lo sa ma non vuole restare rinchiusa in una prigione impregnata di ricordi.
Sa che suo marito non tornerà più perché non l'avrebbe abbandonata così, all'improvviso senza provvedere a lei.
Si avvicina allo spioncino e controlla il pianerottolo. Dopo che quello strano uomo del piano di sotto le ha rivolto delle parole, ha sentito il bisogno di nascondersi. La paura ha vinto la fretta di fuggire dall'edificio maledetto.
Xiang abbassa la testa e aggiunge il nome di suo marito alla lunga lista di tutti i racconti sulle disgrazie e le sciagure accadute in questo luogo.
Proprio lui che non credeva a “quelle sciocchezze”.
Anziché colare a picco nella tristezza, un sussurro le lancia un salvagente. Tende l'orecchio e segue la traccia sonora. Il capolinea è vicino alla finestra. Solleva le tendine e cerca di capire l'origine della voce.
La strada sottostante cambia ogni volta che una nuova insegna ne sostituisce una vecchia.
Nei marciapiedi i passanti sono inseguiti dalla fretta, le macchine rognose azzannano il traffico.
Si avvicina al muro e chiude gli occhi per concentrarsi.
Il bisbiglio parla la sua lingua, le dice: “mi prenderò cura di te.”
Lei accenna a un sorriso, china il capo e guarda se c’è qualcosa di adatto per scavare un buco nel muro.

domenica 29 dicembre 2019

Di quella volta quando intervistai...




Ripropongo una delle mie prime interviste. Correva l'anno 2014 e ho avuto l'opportunità di fare una chiacchierata con Massimo Carlotto...
Quando siete sulla spiaggia e lo sguardo si perde nel punto esatto in cui il cielo e il mare si fondono in un grande azzurro, cosa pensate? A niente, all’infinito o a quanto sia limpida la giornata, ma avete mai riflettuto che oltre c’è un mondo?

Prima o poi l’acqua finisce e un’altra terra inizia, semplice.

Certo, la prudenza ci dirà che non si può attraversare a nuoto, con la forza delle proprie braccia ci si limita a un paio di bracciate, poi si torna indietro ad arrostire sotto il solleone.

La vacanza non è certo il periodo per compiere un’impresa eccezionale.

Non so voi, ma questa immaginetta che profuma di crema solare e calda sonnolenza mi fa pensare. Quando abbiamo iniziato a sognare in piccolo? Se vivere è come nuotare, non impari sino a quando non ti tuffi, allora noi esistiamo “part-time”, solo quando ce la sentiamo e restiamo per lo più a pascolare tra la sabbia.

Eppure c’è chi il mare lo ha attraversato anche a nuoto. Alcuni sono tornati indietro per raccontare quello che hanno visto, ma non tutti sono diventati filosofi come nel Mito della caverna; sono dei sopravvissuti che hanno perso ogni cosa e scelgono di spiaggiarsi in attesa della morte.

Noi, ingegneri di castelli inespugnabili, abbiamo il nostro ombrellone, un posto tranquillo lontano da ogni preoccupazione e congeliamo il futuro.

Poi, un giorno qualunque, arriva un’onda lunga e sommerge il nostro angolo di paradiso. Il porto sicuro diventa la desolazione in cui sopravvivere.

Partire o restare?

Il mondo non mi deve nulla di Massimo Carlotto è un racconto con una forte componente teatrale. Molto spazio è dedicato al dialogo di due personaggi diametralmente opposti. Adelmo è un ladro “per forza di causa maggiore”. La crisi economica lo ha travolto rendendo precaria la sua realtà. Colato a picco il progetto di una vita tranquilla, per mettere insieme il pranzo con la cena, incalzato da sua moglie Carla, si adatta con scarsi risultati agli usi e costumi di una società disonesta. Lise è una ex croupier tedesca, capace di mentire e barare trattenendo sulle punte delle dita il destino di molti giocatori. Dopo aver imparato l’arte della menzogna a bordo delle navi da crociera e aver vissuto un amore indimenticabile, perde il suo patrimonio a causa di un’imbrogliona più abile di lei.

Con quel “poco” che le rimane, decide di passare il tempo aspettando che qualcuno la uccida.carlottocover

Una finestra aperta e delle luci spente sono quanto basta perché i due si scontrino, mettendo in scena un dialogo che va ben oltre le parole dette. Tra minacce e complicità ricercano la comprensione l’uno dell’altra e rincorrono il fantasma dell’amore prima dell’entrata in scena della morte.

Sullo sfondo c’è Rimini. Una città che vive con il sorriso ma che pensa con amarezza; a causa delle condizioni socio-economiche c’è ancora più disperazione nel bilancio delle esistenze rispetto a quelle descritte da autori come Federico Fellini e Fabrizio De André.

Se Adelmo riesce ancora a scovare la felicità in una pedalata e in un canto a squarciagola, per Lise la situazione è più disperata. Si è spiaggiata proprio dove è nato Ferdinando, il suo grande amore. Sospesa tra i ricordi e il disgusto sogna che Rimini si stacchi dalla terraferma e scivoli verso la deriva per incontrare quel naufragio che dissolverebbe la sua fragilità.

L’andamento dialogico e i temi trattati ricordano da vicino quelli di Sunset limited, scritto da Cormac McCarthy. In entrambi c’è una lotta contro la mancanza di senso e il nichilismo che aggredisce e sgretola l’essenza stessa dell’esistenza, rendendola un dono da rifiutare e sprecare nel nome della stanchezza e dalla assoluta mancanza di speranza.

Il mondo non mi deve nulla è una riflessione intorno alla crisi; non da intendersi come penuria sia di mezzi che di sostentamento, ma come un limite in cui siamo imprigionati.

Che questo sia un periodo di crisi, lo si capisce anche senza leggere i giornali, perché la “povertà” economica non si è mai riflettuta così bene nel degrado sociale e spirituale.

Tra i personaggi c’è chi riesce ad attraversare il mare a nuoto, chi costruisce castelli con l’assoluta certezza di resistere a tutto e chi, alla fine, va alla deriva.

Diamo il benvenuto su Nero Cafè a Massimo Carlotto, un autore che non ha bisogno di presentazioni.

Mirko: Hai scritto moltissimi romanzi in cui hai messo a nudo una società scomoda e hai raccontato senza filtri un’altra realtà spesso sotterranea e nascosta. Il mondo non mi deve nulla è, per certi versi, un’opera che mostra un lato poco conosciuto di Massimo Carlotto. Sei uscito dai contorni del noir vero e proprio, della letteratura che innesca conflitti per liberarsi dalle menzogne e che prelude alla redenzione. Con questo tuo ultimo scritto sei approdato in “terre straniere”, oppure hai allargato il raggio della tua esperienza letteraria? Da quale esigenza nasce questo racconto, come si collega al tuo percorso narrativo?

Massimo: 10 anni fa avevo scritto Niente più niente al mondo, una prima riflessione sulla crisi che si stava concretizzando. Nel tempo, poi, ho maturato la necessità di aggiornare quel punto di vista e ho iniziato a lavorare su Il mondo non mi deve nulla ragionando innanzitutto sulla possibilità di forzare le regole del noir attraverso una scrittura concentrata sulle emozioni. E come è accaduto per Niente più niente al mondo la componente teatrale si è materializzata immediatamente, nel senso che è stata percepita dal teatro stesso che si è impadronito del progetto e lo trasformerà ulteriormente ma sempre nel contesto delle emozioni. Tutto questo non ha collegamenti precisi con il mio percorso narrativo che di fatto è sempre stato anomalo. Ci sono le serialità, i romanzi reportage, l’incursione nella storia, etc. perché nella mia personale concezione della letteratura dominano le storie e io mi adeguo più che volentieri alle loro esigenze.

Mirko: Lise e Adelmo sono una coppia improbabile, trascinata dalle correnti di una singolare storia d’amore. Oltre al destino che compiono nel racconto, rappresentano qualcosa in più. Ho riconosciuto in loro i tratti di due atteggiamenti nei confronti della vita: la rassegnazione e la vitalità. Come loro, anche noi stiamo vivendo una primavera carica d’attesa? Può un’inclinazione d’animo diversa aiutarci ad affrontare e superare “la crisi” che stiamo vivendo?

Massimo: La crisi ha messo “in crisi” i comportamenti sociali più consolidati. Le difficoltà, la disperazione spingono i singoli a comportamenti che si staccano completamente da tutto ciò che era dato per scontato. Molte persone agiscono autonomamente cercando vie personalissime alla risoluzione dalla crisi. Il crimine, il suicidio, il mettersi in vendita in ogni forma possibile, e molto altro ancora sono “possibilità” moralmente negative ma che la necessità della sopravvivenza legittima totalmente. Adelmo e Lise si muovono all’interno di queste coordinate. Prima non si sarebbero mai sfiorati, oggi invece la realtà rende possibile l’incrocio di destini così diversi. L’aspetto più nefasto di questa crisi è la ricerca spasmodica di una soluzione personale mentre l’unica soluzione vincente sarebbe la dimensione collettiva.

Mirko: La forza della letteratura. Possono bastare dei romanzi per scuotere la coscienza di chi legge? Hai il ruolo di editore di una collana come Sabot/age, dove vengono pubblicate opere che pongono l’attenzione su tutto ciò che di “sbagliato” inquina la società e ne denunciano senza compromessi il lato oscuro. Una costante attività di sabotaggio. Qualcosa è cambiato?

Massimo: I romanzi non hanno la forza di imprimere svolte e cambiamenti a livello sociale ma sono un mezzo importante per la crescita umana dei lettori. Realtà che stiamo costantemente verificando nel nostro piccolo universo di autori e romanzi sabotatori, dove si sta sviluppando un forte circuito di dibattiti trasversali intorno ai temi proposti. La forza della letteratura sta cambiando forme continuamente e il nostro sforzo è un’analisi continua di queste trasformazioni per essere in grado di offrire al lettore temi e scritture adeguati alla realtà.

Mirko: Quali progetti hai in serbo per il futuro?

Massimo: Teatro innanzi tutto. Il prossimo 8 dicembre debutta Il mondo non mi deve nulla con Pamela Villoresi e Claudio Casadio. Poi i due nuovi romanzi dell’Alligatore che usciranno nel 2015. E infine Sabot/Age con uscite molto molto interessanti.

Mirko: Possiamo sfruttare la tua lunga esperienza e chiederti quali consigli daresti a uno scrittore esordiente?

Massimo: Ho a che fare continuamente con esordienti. Spesso scrivono romanzi “sbagliati” perché non hanno gli strumenti per comprendere le logiche del mondo editoriale, altre volte scrivono romanzi di valore che non vengono capiti dagli editori. Insomma la vita da esordienti è dura, bisogna essere consapevoli di questa situazione e agire di conseguenza anche affidandosi a esperti in grado di valutare e proporre i manoscritti.

Mirko: Grazie della disponibilità e ti auguro buona scrittura!