L'appartamento di Gianluca è simile a tutti gli altri. Anche in questo ci sono abbastanza punti luce per illuminare un angolo cottura grande quanto una monoporzione surgelata, una camera da letto appena più larga dello scendiletto, un bagno con doccia al soffitto e scarico incorporato nel pavimento, un ingresso per incastrare scarpe, chiavi e ombrello. L'unica differenza è uno squarcio sul muro, un’apertura da cui è possibile godere di una vista privilegiata sull'universo con tanto di stelle, pianeti e tutto quello che di norma galleggia nello spazio profondo.
Dall'esterno del palazzo si nota solo la necessità di una mano di colore per ravvivare la facciata dell’unità abitativa ad alta concentrazione ricavata dagli abbondanti spazi del Convitto Ceretti, già noto come ex Monastero Vocis Dei.
Chissà cosa hanno combinato i frati con tutte le loro preghiere, ma poco importa, poiché il buco è un coinquilino piacevole, loquace e dal quale esce una leggera brezza profumata di violetta.
*
“Fammi capire, dici che gli spaghetti sono il miglior piatto del mondo?” Gianluca ha l’aspetto di un uomo centrifugato da una lavatrice maligna e ingannevole ma, nonostante l’apparenza, è comunque multitasking e in grado sia di parlare al buco che di leggere un articolo scovato su Facebook contro i complotti orditi dalla Nasa.
“Certo che te lo dico, se vuoi te lo ripeto.” La voce che risponde è così comune da essere anonima. Nessuna inflessione del sud, del nord, dell'ovest, dell'est o di qualunque punto cardinale conosciuto. Mancano anche il tono perentorio da divinità onnisciente o gli accenti striduli in grado di ricreare i movimenti delle simmetrie del creato.
Insomma, è la voce di un buco.
Gianluca apprende la notizia sulle preferenze culinarie del coinquilino, mentre solo leggendo il titolo del post capisce tutto. La foto allegata di un’astronauta con tanto di tuta spaziale conferma le incredibili assurdità diffuse in rete dalla agenzia spaziale a stelle e strisce.
Possibile che ai cervelloni di Houston sia sfuggita la presenza della miscela di azoto, ossigeno e profumo di violetta nelle distanze siderali? L'aria c'è, ma è trasparente, ecco perché quei fessi non riescono a vederla, pensa e abbandona lo smartphone sul divano.
Per restare sul pezzo, scuote la testa. “Scusa, ma ieri non dicevi la stessa cosa ma a proposito della cucina cinese?” Si sforza di ricordare, poi completa il pensiero: “l'anatra alla pechinese, – schiocca le dita – eccolo il miglior piatto del mondo.”
“Vedi, parli ma non ascolti.”
“Ah dici?”
“Certo, ti ho detto che l'anatra era buona, parlavo di gusto, ma i migliori sono gli spaghetti, per la precisione quelli con il ragù dato il loro giusto apporto di carne e verdura.”
“Va bene, però” Gianluca si alza, gira attorno al tavolino in compensato laccato e lascia in sospeso il dialogo.
“Però cosa, qual è il problema?”
“Vedi, - strofina i calli del palmo e li direziona verso l’etereo compagno – questi me li sono fatti per causa tua.”
“E quindi?”
“Quindi mi sembra di avere fatto abbastanza. Eri solo un sussurro dietro a qualche mattone, ora sei peggio di una radio senza musica, cazzo proprio non riesco a spegnerti, e ora pretendi pure che ti sfami.”
“Tu mi hai liberato, ora sei così spregevole da volermi lasciar morire di fame?”
“Ok, ho capito, - solleva le mani in segno di resa - vada per la Scaglietti, ma con tutte le sigarette che fuma più che un piatto di pasta quella è una striscia di carne affumicata.”
“Non preoccuparti, ho preso il meglio di Mr. Wang, prenderò il meglio anche da lei.”
“Non preferisci cambiare menù?”
“No, voglio la Scaglietti.”
“Non credo sia una buona idea.” Risponde e ricomincia a palleggiare lo sguardo sui mobili dozzinali sparsi a caso nell’ambiente, poi prosegue: “due che abitano nello stesso piano spariscono dall'oggi al domani, non credi sia una coincidenza troppo strana?”
“Quanto la fai lunga, tutti si accontenteranno della spiegazione più semplice.”
“Quale, quella che sono stati sbranati da un buco nel muro?”
“No, penseranno che Made in China e la Vedova Allegra sono fuggiti assieme per iniziare una vita fatta di amore e fotti fotti interculturale.”
“Con l'età che ha potrebbe essere più la madre che l'amante.”
“Sai cosa ti direbbe la Scaglietti?”
“No.”
“Ignorante, non lo sa che la gallina vecchia fa buon brodo?” Questa volta il muro ha il timbro del raschietto che la decana usa per esprimere le sue massime.
*
La lunga fila di scatoloni marroni sul pianerottolo è la copia della Grande Muraglia Cinese, a compiere l’ennesima imitazione è stata la signora Wang, una donna in formato ridotto con un nome impronunciabile. Dopo la scomparsa del marito si è barricata dietro uno strato di oggetti per difendersi dalle intrusioni dei barbari. Chiunque le chieda notizie del consorte, riceve in cambio un accenno di sorriso e un lieve inchino del capo.
“Salve, le piace l'anatra alla pechinese?” Gianluca trasforma il suo arrivo in una presenza ingombrante.
La cinese deposita un’altra scatola di cartone poi accenna un sorriso, china il capo e sparisce dietro la porta dell’appartamento.
Gianluca scavalca l'ostacolo e arriva davanti alla porta di Marialuisa Rosselli Vedova Scaglietti. Batte con le nocche due colpi secchi e attende.
“Maledetti musi gialli.” La cattiveria preannuncia l'entrata in scena della femmina malalingua. “Ah, è lei?” Tira una boccata dalla sigaretta e sfiata una nuvola cancerogena.
“Sì, buongiorno.”
La Scaglietti si sporge dalla porta. Nonostante la pelle incartapecorita da una vecchiaia indefinita mentre arriccia il naso sul volto appaiono ancora altre rughe. “Per forza abbiamo perso la guerra, mi domando perché Benito si sia fidato di quegli animali ignoranti.” Il lutto persistente, i capelli grigi tendenti al viola quaresima, una croce appesa al rosario tornano a fissarlo e aspettano una reazione.
“Benito, ma suo marito non si chiamava Giovanni?”
“Ignorante.” La mummia difetta nei sinonimi quando sproloquia ma compensa la carenza con un mix di arroganza e aggressività. Il nervoso le provoca l'effetto ciminiera e scarica con più frequenza nubi mefitiche. “Studia un po' di storia invece di scocciarmi.”
“Veramente non sono qui per parlarle di storia, volevo farle presente che sul mio soffitto c'è una macchia di umidità. Non è che ha avuto qualche perdita d'acqua?”
“Saranno stati loro, - a colpi di tosse cerca di battere il verdetto contro la famiglia Wang – noi italiani siamo brava gente sa, lei non deve permettersi di accusarmi o insultarmi, ha capito?”
“Ho capito, ma i signori Wang non c'entrano nulla, sono innocenti. Sopra di me c'è il suo appartamento.”
“Signori? Perché io sarei una sguattera? Innocenti, quelli? Lo sa che è per colpa loro se abbiamo perso la guerra?”
Gianluca lancia una ricerca nell'archivio mnemonico. Alla voce Seconda Guerra Mondiale trova un indizio per sbrogliare il putiferio verbale. Mussolini, forse Benito, fascisti, nazisti, giapponesi.
“Benito non si erano alleato con i cinesi ma con i giapponesi e, se non ricordo male, tra i due popoli non correva buon sangue” dice, nella speranza di stoppare il veleno con cui la serpe affila la lingua.
“Cinesi, giapponesi, tutti uguali. Che tornino al loro paese e tu, visto che li difendi tanto, vai con loro.” Questa volta il dito finisce puntato contro di lui.
“Signora, quello che le pare, ma vorrei che scendesse a vedere il danno.”
“Ma come si permette? Mi porti rispetto, sono vedova ma non stupida. Lei tenta con l’inganno di attentare alle mie virtù. La smetta di insultarmi perché io sono bella e buona, ma se mi fanno girare i cinque minuti non so quello che faccio.”
“Ma io non sto attentando alle sue virtù.” Non riesce a finire la frase perché viene travolto da un’altra raffica di parole sparate dai bronchi marci.
“Dicono tutti così quelli come te, io li guardo i telegiornali e so come sono fatti gli ignoranti. Ma tanto perché ti parlo assieme, intanto non capisci che dico solo le cose come stanno.”
“Signora, le posso dire una cosa?”
“Sentiamo!”
“Tutto quello che esce dalla sua bocca rende il mondo un posto peggiore.” Gianluca parcheggia un pugno al centro dell’anziana, mandando a dormire tutti i neuroni razzisti che le affollano il cervello.
*
“Tutte le donne cascano ai tuoi piedi o funziona solo con le vecchie?”
Gianluca trascina la quasi salma dal colletto della camicia, facendo strisciare le ciabatte viola sulle piastrelle. “Lascia stare, non è giornata.” Senza scrupoli strattona il sacchetto dell’immondizia in pelle umana per scaricare la tensione. “Vedi di sbrigarti e non ti ci strozzare con questa.”
“Calma, non c'è fretta. Svegliala.”
“Perché?” Le braccia cedono ma non per lo sforzo, la vedova peserà si e no sessanta stecche di sigarette, ma per la scocciatura di doverla rianimare.
“Un piatto sveglio è più gustoso.”
“Credimi, questa ha un sapore sgradevole sia da sveglia che da bella svenuta nel bosco.” Scuote la testa e decide di non venire meno alle buone regole dell'ospitalità. Avvicina una sedia in plastica e ripone la portata principale sulla seduta. Non ne viene fuori una bella presentazione come quelle che si vedono in tv con gli aspiranti cuochi, ma tant’è. Dalla cucina recupera un bicchiere, resiste alla tentazione di svuotare la vescica per condirla e lo riempie di acqua.
Prima di benedirla, la voce interviene: “ah, spogliala.”
“Stai scherzando, perché con Wang non ti sei fatto tutti questi problemi?” Gianluca risponde con una domanda, non è da educati certo, ma è meno scomodo che sbucciare la Scaglietti.
“Delle primizie mangio solo la polpa.”
“Questo è troppo.”
“Dici?”
“Non lo faccio.” Un atto di ribellione è cosa buona e giusta, però la rivoluzione si fa in piazza schivando proiettili, non nel salotto di casa a colpi di chiacchiere.
Gianluca si mette in posa per rafforzare la sua decisione, ma qualcosa non funziona. Pur avendo smesso di inspirare, i polmoni continuano a espandersi contro la sua volontà.
“Vuoi fare il grosso, vediamo quanto riesci a gonfiarti prima di scoppiare.” Il buco riesce sempre a ottenere ciò che chiede.
Le costole spinte dall'azione dilatatoria stressano la cartilagine nei punti critici sulle vertebre e sullo sterno, l'epidermide però non si dilata e tende a comprimere. I muscoli intanto si scaldano più della piastra elettrica su cui cuoce le bistecche e il dolore si converte in sudore ma, se non si decide al più presto, sarà più probabile vederlo esplodere che mutarsi in una pozza salmastra.
Appena pensa alla resa, la tortura termina. Perde i sensi, crolla ai piedi della strega e assume la postura di una pelle di leone. Il bicchiere gli sfugge dalle mani e la percentuale di umidità nei dintorni schizza oltre al cento per cento.
“Va bene, riposati un attimo.”
*
Il ritorno dall'incoscienza è un viaggio turbolento, l'emicrania accelera nei tornanti e lo stomaco rallenta nei rettilinei.
“Eravamo rimasti che tu la spogliavi, però se non ti va di farlo” La frase è incompiuta, ma non c’è bisogno di altro, Gianluca è in grado di completarla senza fare errori.
Il busto gli fa più male di una delusione amorosa ma meno di un colpo di pistola al cuore.
Si rialza ignorando i rumori sinistri prodotti dalle articolazioni e si concentra nel lavoro di esfoliazione dell’ospite geriatrica.
L'orrore nel toccare quella scorza avvizzita gli fa scoprire nuove sfumature della parola ribrezzo.
Gianluca è disgustato dall'orrido spettacolo, dolorante per la forza persuasiva degli argomenti del buco ma non ancora sconfitto. Raccoglie il bicchiere da terra e, tornato in cucina, apre il rubinetto ma questa volta decide di risparmiare dell'acqua e spillare un po' di urina.
“Pensi che condita all'ammoniaca possa avere un gusto migliore?”
Svuota nel lavandino il nettare crudo e ambrato. “Credimi, ti avrei fatto un favore” dice e mostra il contenuto dell’acquasantiera fatta in casa.
“Così va meglio.”
La stagionata riavvia la sua malvagità quando il temporale casalingo le si schianta sui lineamenti retrò. Alla vista dello squarcio stellato e della propria nudità, la Scaglietti urla con tutto il fiato che ha in corpo: “al fuoco, aiuto, al fuoco.”
“Falla stare zitta.”
Gianluca tenta di smorzare i decibel con una mano ma la cariatide è una che gioca sporco e coglie al volo l’occasione per affondargli i denti nell’incavo tra pollice e indice.
Ora a urlare sono in due.
Con uno strattone deciso si libera della vecchia ma non della dentiera che continua a morderlo.
Con un nuovo scossone vola via anche la protesi. Non sapendo cosa infilare nella bocca della maliarda, decide di raccoglierla e ricacciarla da dove è venuta ma avendo l’accortezza di infilarla al contrario.
Le pupille della vedova Scaglietti sono a mollo nelle lacrime e rimbalzano più di una pallina in un flipper. Stanno cercando di scovare un perché, anche uno a caso può andare bene, basta che doni un senso compiuto alla realtà in cui imboccare una diversamente giovane con dei denti posticci è la normalità.
“Perché urlava al fuoco?” Chiede il buco.
“In tv consigliano sempre di urlare al fuoco, la gente è più propensa a intervenire per fare l’eroe tra le fiamme che salvando una fanciulla da uno stupratore.”
“Siete strani voi umani ma in fondo siete così buoni. Portamela, è pronta.”
Le orecchie della Scaglietti intercettano il messaggio, passano al corpo l’informazione di iniziare a tremare con la stessa intensità e frequenza di una foglia inchiodata male in un tunnel del vento. Vibrare più di un cellulare molesto non le impedisce di finire nelle fauci del carnefice.
Una volta che è parte della vista universo, l’espressione arcigna della Scaglietti si trasforma in un sorriso più rilassato di quello della Madonna con bambino. Come fu già per Wang, attraversare la soglia ha il potere di trasformare la caducità umana in eternità olimpica.
Cosa vedono là fuori? pensa Gianluca.
Riflette sulle differenze. L'orientale poteva anche essere dedito allo Zen, allo yoga o qualunque altra droga mentale che poteva ridurlo allo stadio bovino rassegnato ma la vecchia non era il tipo da sintonizzarsi sulle energie positive, spalancare i chakra o lasciarsi sodomizzare dalla Grande Anima, era caustica da corrodere la santità.
Allora cosa vedono là fuori che li rende così beati?
La speculazione riflette, non scopre nulla. Sveste i panni del filosofo, si accomoda tra il buco e la finestra e si maledice di non avere foderato con dei teli di plastica l'intero appartamento.
*
Ogni fluido viene escluso e restituito alla terra, forse per fare da concime alle generazioni future, ma non prima di essere stato agitato e non mescolato. Per lo più torna indietro sotto forma di pioggia rossa che, incurante della forza di gravità, si sposta ad alta velocità attraverso la sala da pranzo e l'ingresso per schiantarsi contro la porta blindata. Migliaia di piccole gocce infettano in ordine sparso mobili, muri, soffitto e pavimento.
Non si tratta di un banalissimo spruzzo, ma di un intervento preciso e calibrato perché, terminata l'opera, ovunque ci sia abbastanza sangue si può leggere la scritta latina: relata refero, riferisco ciò che mi è stato detto.
“Avevi ragione tu, era un piatto amaro.”
“Te lo avevo detto.” Risponde, calcolando quante ore gli ci vorranno per pulire. Non si perde d'animo e prende l'iniziativa. I vestiti di foggia antiquata lasciati in eredità, vengono elevati al rango di stracci per asciugare. Dalla scarpiera estrae un sacco di segatura e lo cosparge facendo delle strisce per arginare ogni eccesso cremisi.
“Cosa significa quella scritta con il sangue?” Cerca indizi e parte da lontano per non destare sospetti.
“Non prendermi in giro. Sei curioso, vuoi sapere cosa vedono?”
Gianluca si avvicina, guarda le stelle ma non prova a collegarle per ricondurle a qualche costellazione nota. Non ha il tempo e la voglia per farlo, ma la curiosità è tanta. “Ma cosa stai dicendo?”
“Vuoi conoscere i segreti dell’universo?”
“Avrò le risposte delle domande tipo chi sono, da dove provengo, eccetera eccetera?”
“No, quella che vedrai è La Risposta.”
La fisica della conoscenza coincide con quella dei campi magnetici; attrae a sé gli elementi compatibili e non esercita nessun vettore nei confronti del materiale inerte. Ed è meraviglioso sapere che nonostante l’intensità della forza, la massa priva di carica non subisce alcun influsso ed è libera di sprecare la propria esistenza.
Gianluca compie il primo passo verso La Risposta. Per millenni l'uomo ha alzato lo sguardo al cielo cercando di scoprire il segreto delle coppie litigiose del calibro: il destino o la volontà, il caso o il caos, il bene o il male. Pensare che con uno sguardo potrà rispondere in maniera definitiva alle domande Coca-cola o Pepsi, Beatles o Rolling Stones, il pesce con o senza il formaggio, infradito con o senza calzino, lo inebria e lo fa sentire un gradino più vicino a Dio.
Nei concetti che affollano la sua mente si fa avanti con prepotenza l'immagine della Fiamma e della Falena.
Un brivido freddo lo congela.
Non vorrà mica uccidermi? Pensa.
“Cosa c'è?”
Trattiene il fiato, poi guarda i pochi resti della vedova Scaglietti.
No. Non può farlo. Senza di me non può sopravvivere. Il sorriso è il segnale di aver trovato la certezza su cui costruire l'autostima e il suo regno. Senza di me non può mangiare. Se lo scoprono, tra Nasa, Cia, Fbi e scienziati pazzi gli infilano dentro tubi, supposte e tutte le porcherie che riescono a immaginare. Passa una mano tra i capelli neri, aumenta di una tacca l'indicatore del buonumore che ha tra le labbra. Non sono lo schiavo, io sono il padrone.
Ha vinto la paura della morte, è un uomo libero.
“C'è che posso pulire dopo” dice, per nascondere i propri pensieri.
“Sei pronto?”
“Certo.”
Abbassa le palpebre, inspira profondamente e sente il tocco lieve del profumo dell'infinito. Si sporge a dare un’occhiata al luogo da cui nessuno è mai tornato vivo.
*
Le briciole di luce e lo sfondo cupo sono spariti, annegati nell'inconsistenza grigia che si espande verso ogni direzione.
Vede quello che una grassa tangente ispira all'assessore corrotto: un monotono oceano di cemento.
Il cervello si paralizza alla minaccia di un pericoloso assassino senza volto, il cuore scaglia il sangue verso le estremità e l’adrenalina lo spinge verso l’eccesso. La mente scatta verso ogni dove, amplifica i pensieri e si dilata sino a dissolversi.
L'anima di Gianluca non riesce a stare ferma, è inchiodata dentro una bara di carne, ossa e sangue.
Un tuono lo scuote.
“Cosa vedi?”
“Niente.”
“Guarda meglio.”
Con un moto circolatorio indaga l'uniformità del paesaggio. “Chi sei?”
“Io sono Colui che sono.”
Qualcosa lo afferra allo sterno e lo strattona. I piedi scivolano e perdono il contatto con il pavimento. Galleggia.
Un formicolio s’insinua sotto la pelle, suda sangue da tutti i pori disponibili e un gorgoglio strozzato accompagna ogni singola goccia. Il liquido vischioso attraversa indenne i vestiti, converge verso un punto e crea un fantasma rosso con le sue sembianze.
La carne trema, il sistema nervoso collassa e delle scariche di corrente alternata lo mantengono cosciente. Muscoli, cartilagini, viscere vibrano e si staccano dalle ossa. La colonna sonora della separazione è un fruscio distorto discontinuo a metà tra la carta strappata e le unghie sulla lavagna. La sua buccia scivola alla sinistra dello spirito. Lo scheletro marrone infine lo abbandona e completa la trinità.
L'inconsistenza amalgamata al vuoto lo priva della sostanza.
Si diffonde un odore di chimica marcia. La putrefazione aggredisce le spoglie. La cute pallida tende al verde malato, alcuni brandelli si staccano e penzolano tali e quali a delle bandiere a mezz'asta. Il resto si gonfia sino a esplodere e dalle ferite purulente si leva una sinfonia suonata da migliaia di vermi.
Divorano, dilaniano e sbranano, non lasciano nemmeno cadere una briciola dal banchetto.
L'effetto sull’essenza di Gianluca è un abbraccio pesante quanto un'ancora gettata nell'abisso. Resiste, suo malgrado, e assiste alla lenta frantumazione dello scheletro. Si sgretola con la stessa velocità della cenere di una sigaretta consumata e mai fumata. Attirato verso profondità inimmaginabili e orfano del sostegno, implode e diventa il grumo attorno a cui ruota la sua coscienza.
Lo spirito sanguinario lo osserva, ghigna felice e accenna a un saluto con due dita sulla fronte prima di scattare verso la breccia da cui Gianluca era passato.
Non appena è solo, quello che resta di Gianluca soffoca.
Per sempre.
Fine delle trasmissioni.
Game over.
*
Una notevole quantità di sangue si aggiunge a quella già presente. Osservando con attenzione, gli stracci della donna e le strisce di segatura conferiscono al laghetto l'aspetto di un piatto di spaghetti al ragù.
Sul muro la finestra inquadra i passanti inseguiti dalla fretta, i negozi deserti e macchine rognose che azzannano il traffico.
“Qualcuno pulirà.” dice il buco, poi i lembi si chiudono senza nemmeno lasciare la cicatrice sul bianco della parete.
Al suo posto appare un quadro con tanto di cornice dorata in cui i dodici segni zodiacali giocano al girotondo.
*
Xiang Maguangdong vorrebbe piangere, ma non ci riesce. Da quando Huang è uscito e non è tornato, si è ritrovata sola in un mondo che non riesce a capire. Lei non conosce l’italiano, se non poche parole inutili. Alla stazione di polizia le avevano affiancato un interprete, ma la ascoltava indifferente e dava l'impressione di tradurre poco e male la sua angoscia.
La solitudine e la disperazione l'hanno spinta a svuotare l'appartamento. Cosa farà dopo, ancora non lo sa ma non vuole restare rinchiusa in una prigione impregnata di ricordi.
Sa che suo marito non tornerà più perché non l'avrebbe abbandonata così, all'improvviso senza provvedere a lei.
Si avvicina allo spioncino e controlla il pianerottolo. Dopo che quello strano uomo del piano di sotto le ha rivolto delle parole, ha sentito il bisogno di nascondersi. La paura ha vinto la fretta di fuggire dall'edificio maledetto.
Xiang abbassa la testa e aggiunge il nome di suo marito alla lunga lista di tutti i racconti sulle disgrazie e le sciagure accadute in questo luogo.
Proprio lui che non credeva a “quelle sciocchezze”.
Anziché colare a picco nella tristezza, un sussurro le lancia un salvagente. Tende l'orecchio e segue la traccia sonora. Il capolinea è vicino alla finestra. Solleva le tendine e cerca di capire l'origine della voce.
La strada sottostante cambia ogni volta che una nuova insegna ne sostituisce una vecchia.
Nei marciapiedi i passanti sono inseguiti dalla fretta, le macchine rognose azzannano il traffico.
Si avvicina al muro e chiude gli occhi per concentrarsi.
Il bisbiglio parla la sua lingua, le dice: “mi prenderò cura di te.”
Lei accenna a un sorriso, china il capo e guarda se c’è qualcosa di adatto per scavare un buco nel muro.