Ricapitoliamo. Nel ’77 ero
sbarcato da poco meno di un anno sulla Terra e, anche se posso vantare di aver
vissuto per un brevissimo periodo sullo stesso pianeta di Elvis, ero ancora
troppo piccolo per ascoltare e comprare in maniera autonoma i dischi, quelli
seri.
Non ricordo molto bene, però ho
come la sensazione che all’epoca fossi impegnato in azioni piuttosto complicate
come: non sporcare il pannolino e riuscire a mettere nello stomaco più cibo di
quanto ne parcheggiassi sul bavaglino.
Curiosando su internet, ho
scoperto che nello stesso anno finirono sugli scaffali dei negozi titoli come
Rumours dei Fleetwood Mac, Animals dei Pink Floyd, Never Mind the Bollocks dei
Sex Pistols, Before and After Science di Brian Eno e molti, moltissimi altri.
Oggi la situazione non è
disperata, è peggio. Tranquilli non voglio fare tirate sulla decadenza dei
tempi moderni, per quello basta ascoltare cosa si suona in giro, o abbandonarmi
alla nostalgia “canaglia” e mitizzare epoche che ho vissuto ma che nemmeno
ricordo.
Ciò che davvero mi interessa è
parlare di un tizio che in quell’anno ha pubblicato due album e, a proposito
del secondo, sostenne di essere venuto meno ai suoi propositi facendone uscire “due
della stessa natura”.
Insomma, il cantante misterioso
riconosceva di aver solo rifatto meglio il primo e, in questa amara ammissione,
è contenuto il rammarico per non aver sperimentato, di non aver cercato nuovi
sentieri verso il futuro.
Per chi ancora non lo avesse
capito sto parlando di David Bowie e di “Low” e “Heroes”, i primi due atti del
trittico berlinese. Il terzo è “Lodger”, che merita una discussione a parte in
fatto di riuscita e sperimentazione ma questa è un’altra storia che vi invito a
scoprire leggendo Bowie La trilogia berlinese di Thomas Jerome Seabrook. Una biografia
mirata che parte dal ’75, da quando Bowie interpretò Thomas Jerome Newton in L’uomo
che cadde sulla terra e pubblicò Station to Station, e termina nel ’79 con l’uscita
di Lodger.
Il bisogno di sfuggire alla morsa
tossica di Los Angeles e cercare una salvezza assieme all’amico Iggy Pop, portò
i dum dum boys a Berlino. Impegnati nella ricerca dello spettro della città
conosciuto in Goodbye To Berlin di Isherwood, i due finirono per avviare una
collaborazione che durò per cinque LP.
Già, perché The Idiot e Lust for
Life non sono del tutto Bowie-free.
Perché leggere questo libro?
Quando viene a mancare qualche personaggio pubblico, sui social scatta la solita
querelle di ammiratori e detrattori. Ambo le parti diffondono un numero
incredibile di castronerie quindi, se siete interessati alla persona e all’opera
artistica e non volete diventare vittime e inconsapevoli diffusori di ca##ate,
è sempre meglio documentarsi. Fu pubblicato nel 2008 e arrivò in Italia nel
2009 grazie ad Arcana Editore, un periodo ben lontano da sospetti di interessi da stamperia e monetizzazione
della morte altrui.
Davvero Eno è quel produttore che
fa miracoli come è successo per Achtung Baby degli U2, oppure può anche avere
parte nell’insuccesso di un artista? Per un certo periodo Iggy Pop è la
marionetta di Bowie o a Tony Visconti andava solo bene Ziggy Stardust? Lo
sapevate che le chitarre di Heroes furono incise da Robert Fripp senza nemmeno
ascoltare il resto dell’incisione?
Ritornando a noi. Nonostante i
pezzi forti pubblicati nello stesso anno abbiano un peso rilevante nell’economia
generale del rock, è innegabile che “Heros” non è una fotocopia, né la solita
trappola “effetto nostalgia”, ma una vera e propria finestra sul futuro.
Ovviamente è una lettura adatta ai
fan di Bowie e agli appassionati di musica, ma solo quelli che non hanno la
mania per le etichette.
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