martedì 29 dicembre 2015

A un passo dalla fine, forse.


 
L'esperienza è la moneta con cui il Tempo compra la nostra esistenza. Sia chiaro, non si tratta di una transizione che è possibile accettare o rifiutare, ha più il sapore di un esproprio in cui le possibilità di cui disponiamo vengono convertite in ricordi e qualche insegnamento più o meno prezioso.
 
 
Non si tratta di uno scambio equo. L'opportunità di modellare il futuro ha un valore maggiore di una istantanea relegata da qualche parte nella mente, ma noi siamo anche Tempo e con esso scorriamo, senza che ci sia mai data l'occasione di arrestare la corrente prima di arrivare alla fine.
 
È possibile incassare una valuta che, a conti fatti, non ha molto potere di acquisto, ignari che ogni guadagno nella sostanza è una perdita, oppure spendendo al meglio il tesoro di cui disponiamo, ma qualunque sia la scelta nel costruire o cercare noi stessi, camminiamo in una spirale concentrica con la profondità di un imbuto.
 
Ogni metro guadagnato ci fa scendere verso il basso e restringe il raggio del nostro percorso. La vecchiaia è uno dei tanti sintomi della riduzione ai minimi termini, il preludio dell'annientamento.
 
Time, una delle canzoni più celebri dei Pink Floyd, termina con una serie di versi che riassumono la consapevolezza che, a un passo dal punto zero, desideriamo più possibilità di quelle di cui disponiamo.
 
The time is gone,
The song is over,
Thought I'd something more to say.
Il tempo se n'è andato, / la canzone è finita, / pensavo di avere ancora qualcosa da dire. //
 
Il testo della canzone è passato, ormai c'è solo l'ultimo passo da compiere. Non è un cammino facile e, nell'illusione di riuscire a giocare qualche mano in più, di avere l'ultima parola, ci si sposta dal flusso e ci si appiglia agli argini del fiume.
 
Una rivolta, forse una vera e propria rivoluzione contro l'ordine costituito degna di Sisifo, un dannato che ha la sua ragion d'essere nel movimentare un masso in una conca, ma che senza la sua condanna non è più nulla.
La senilità è simile a quell'acqua stagnante che marcisce nella sua immobilità; solitudine, impotenza e mancanza di sbocchi sono l'assenza di altre nuove possibilità… forse.

In questi giorni ho ultimato la lettura de Le Sultane un romanzo di Marilù Oliva, pubblicato dopo la fortunata trilogia dedicata a Elisa Guerra, La Guerrera.
 
Dopo l'incalzante ritmo latino nelle notti della giovane Salsera bolognese, divisa tra la precarietà di un'esistenza in bilico tra ambizioni, realtà e omicidi da risolvere, l'autrice cambia genere e registro per gettare uno sguardo sulla vecchiaia.
 
Wilma, Mafalda e Nunzia sono tre vecchiette – a tratti anche amabili – che richiamano alla memoria del lettore le zie Abby e Martha, conosciute in Arsenico e vecchi merletti di Frank Capra o, se preferite, l'omonima e precedente rappresentazione teatrale andata in scena a Broadway e scritta da Kesselring.
 
Le affinità non si fermano alla similitudine della condizione delle protagoniste con quelle delle anziane assassine; oltre all'ironia e agli spunti comici, come Frank Capra anche Marilù Oliva riflette sulle condizioni spesso impietose della terza età.
 
Tanto per intenderci, fa sorridere ma lascia un retrogusto amaro.
 
Il terzetto ultrasettantenne abita in un palazzo al numero 7 di Via Damasco a Bologna, un complesso abitativo di edilizia popolare convenzionata. Da qui il nome e lo status di “regine coreggenti”a capo di un esercito di poveracci, impegnato in una guerra di logoramento scatenata, come sempre, da futili motivi.
 
Dall'ennesimo screzio tra buoni vicini, si avvia una trama che prende forma e sostanza tra equivoci e tentativi di riscatto. C'è molto da leggere e poco da scrivere per non anticipare troppo le vicende surreali e divertenti in cui delle anziane si trasformano in improbabili gangster.
Le tre meritano uno sguardo più attento, poiché ognuna scivola verso un finale degno dei giorni vissuti.
 
Wilma è la protagonista principale. Con lei il Tempo non è stato troppo signore, le ha strappato quasi subito la possibilità di avere un futuro davanti a sé e l'ha lasciata senza sostanze per sopravvivere e riuscire a realizzare un progetto a cui teneva molto. Vive con l'affanno di trovare un sostentamento economico e dare nuova linfa a una bellezza ormai sfiorita.
 
Mafalda è taccagna e, come tale, non ha speso le proprie possibilità ma ha tesaurizzato il Tempo. Secca nella costituzione, si è consumata nel gestire un patrimonio che la schiaccia e si è assottigliata nel tentativo di acchiappare un'eredità genetica che le sfugge. Infine, Nunzia è affetta da diabete ed elefantiasi, una donna alla continua ricerca di dolci e dolcezza, insegue il Tempo ed è gonfiata dal desiderio di una possibilità che non è mai riuscita ad appagare. Sfugge la morte anche nelle manifestazioni più diluite per continuare ad alimentare la sua fame e le sue continue preghiere.
 
Attorno a loro, la gioventù paga il prezzo più alto, la controparte maschile è rappresentata come impotente, fragile o inconcludente.
 
Le nostre eroine sono fuoriuscite dall'irruenza e dalla baldanza della vita, ma resteranno quiete ai bordi di una quotidianità farcita di partite a scala quaranta, vendite in nero, risparmio sfrenato e peccati di gola o, per quanto possibile, riusciranno a ribellarsi, ad appropriarsi di un futuro sempre più corto ed essere felici mentre ognuna spinge il proprio masso?

 
 
Le Sultane è qualcosa di più di un piacevole intrattenimento, oltre a osservare con uno sguardo disincantato la società in cui viviamo, offre la preziosa opportunità di riflettere sulla condizione umana.

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