L'esperienza
è la moneta con cui il Tempo compra la nostra esistenza. Sia chiaro,
non si tratta di una transizione che è possibile accettare o
rifiutare, ha più il sapore di un esproprio in cui le possibilità
di cui disponiamo vengono convertite in ricordi e qualche
insegnamento più o meno prezioso.
Non
si tratta di uno scambio equo. L'opportunità di modellare il futuro
ha un valore maggiore di una istantanea relegata da qualche parte
nella mente, ma noi siamo anche Tempo e con esso scorriamo, senza che
ci sia mai data l'occasione di arrestare la corrente prima di
arrivare alla fine.
È
possibile incassare una valuta che, a conti fatti, non ha molto
potere di acquisto, ignari che ogni guadagno nella
sostanza è una perdita, oppure spendendo al meglio il tesoro di cui
disponiamo, ma qualunque sia la scelta nel costruire o cercare noi
stessi, camminiamo in una spirale concentrica con la profondità di un
imbuto.
Ogni
metro guadagnato ci fa scendere verso il basso e restringe il raggio
del nostro percorso. La vecchiaia è uno dei tanti sintomi della
riduzione ai minimi termini, il preludio dell'annientamento.
Time,
una delle canzoni più celebri dei Pink Floyd, termina con una serie
di versi che riassumono la consapevolezza che, a un passo dal punto zero,
desideriamo più possibilità di quelle di cui disponiamo.
The song is over,
Thought I'd something more to say.
Il
tempo se n'è andato, / la canzone è finita, / pensavo di avere
ancora qualcosa da dire. //
Il testo della canzone è passato, ormai c'è solo l'ultimo passo da
compiere. Non è un cammino facile e, nell'illusione di riuscire a
giocare qualche mano in più, di avere l'ultima parola, ci
si sposta dal flusso e ci si appiglia agli argini del fiume.
Una rivolta, forse una vera e propria rivoluzione contro l'ordine
costituito degna di Sisifo, un dannato che ha la sua ragion d'essere
nel movimentare un masso in una conca, ma che senza la sua condanna
non è più nulla.
La senilità è simile a quell'acqua stagnante che marcisce nella sua
immobilità; solitudine, impotenza e mancanza di sbocchi sono l'assenza di altre nuove possibilità… forse.
In questi giorni ho ultimato la lettura de Le Sultane un romanzo di Marilù Oliva, pubblicato dopo la fortunata trilogia dedicata a Elisa Guerra, La Guerrera.
Dopo l'incalzante ritmo latino nelle notti della
giovane Salsera bolognese, divisa tra la precarietà di un'esistenza
in bilico tra ambizioni, realtà e omicidi da risolvere, l'autrice
cambia genere e registro per gettare uno sguardo sulla vecchiaia.
Wilma, Mafalda e Nunzia sono tre vecchiette – a tratti anche
amabili – che richiamano alla memoria del lettore le zie Abby e
Martha, conosciute in Arsenico e vecchi merletti di Frank
Capra o, se preferite, l'omonima e precedente
rappresentazione teatrale andata in scena a Broadway e scritta da
Kesselring.
Le affinità non si fermano alla
similitudine della condizione delle protagoniste con quelle delle
anziane assassine; oltre all'ironia e agli spunti comici, come Frank
Capra anche Marilù Oliva riflette sulle condizioni spesso impietose
della terza età.
Tanto per intenderci, fa sorridere ma lascia un retrogusto amaro.
Il terzetto ultrasettantenne abita in un palazzo al numero 7 di Via
Damasco a Bologna, un complesso abitativo di edilizia popolare
convenzionata. Da qui il nome e lo status di “regine coreggenti”a
capo di un esercito di poveracci, impegnato in una guerra di
logoramento scatenata, come sempre, da futili motivi.
Dall'ennesimo screzio tra buoni vicini, si avvia una trama che prende
forma e sostanza tra equivoci e tentativi di riscatto. C'è molto da
leggere e poco da scrivere per non anticipare troppo le vicende
surreali e divertenti in cui delle anziane si trasformano in improbabili
gangster.
Le tre meritano uno sguardo più attento, poiché ognuna scivola verso un finale degno dei giorni vissuti.
Wilma è la protagonista principale. Con lei il Tempo non è stato
troppo signore, le ha strappato quasi subito la possibilità di avere
un futuro davanti a sé e l'ha lasciata senza sostanze per sopravvivere
e riuscire a realizzare un progetto a cui teneva molto. Vive
con l'affanno di trovare un sostentamento economico e dare nuova linfa a una
bellezza ormai sfiorita.
Mafalda è taccagna e, come tale, non ha speso le proprie possibilità
ma ha tesaurizzato il Tempo. Secca nella costituzione, si è consumata nel
gestire un patrimonio che la schiaccia e si è assottigliata nel
tentativo di acchiappare un'eredità genetica che le sfugge. Infine,
Nunzia è affetta da diabete ed elefantiasi, una donna alla continua
ricerca di dolci e dolcezza, insegue il Tempo ed è gonfiata dal desiderio di una possibilità che non è mai
riuscita ad appagare. Sfugge la morte anche nelle manifestazioni più diluite per continuare ad alimentare la sua fame e le sue continue preghiere.
Attorno a loro, la gioventù paga il prezzo più alto, la controparte
maschile è rappresentata come impotente, fragile o inconcludente.
Le nostre eroine sono fuoriuscite dall'irruenza e dalla baldanza
della vita, ma resteranno quiete ai bordi di una quotidianità
farcita di partite a scala quaranta, vendite in nero, risparmio
sfrenato e peccati di gola o, per quanto possibile, riusciranno a
ribellarsi, ad appropriarsi di un futuro sempre più corto ed essere
felici mentre ognuna spinge il proprio masso?
Le Sultane è qualcosa di più di un piacevole intrattenimento, oltre
a osservare con uno sguardo disincantato la società in cui viviamo, offre la preziosa opportunità di
riflettere sulla condizione umana.
Nessun commento:
Posta un commento