giovedì 24 dicembre 2015

Ernest Hemingway può sbagliare?


Prima di partire con la recensione vera e propria, vorrei ringraziare Giulia e Andrea, i due gestori della MiskatonicUniversity. Se vi capita di passare per Reggio nell'Emilia, capirete subito che non si tratta di una semplice libreria, ma di un punto di incontro per gli appassionati dei generi Horror, Science Fiction e Fantasy. Oltre ai titoli di genere che potete trovare nelle solite classifiche, hanno il pregio di dare spazio anche alle piccole case editrici, scelta che non molti librai sembrano condividere, e sono una vera e propria miniera di titoli rari o quasi dimenticati. Se la distanza vi preclude la possibilità di passare di persona, nessun problema spediscono in tutta Italia.

Uno dei loro meriti è che non basano tutta l'attività sulla vendita, ma organizzano anche una serie di appuntamenti che portano lettori e autori a qualche sedia di distanza e favoriscono gli incontri ravvicinati… e, dato il genere trattato, qualcuno potrebbe anche essere del terzo tipo.

Scherzi a parte, partecipando al Cut Up Day ho avuto il piacere di conoscere di persona l'autore che recensirò. Se devo essere sincero, mi piace leggere ma quando è possibile voglio anche guardare negli occhi lo scrittore, non solo per collezionare autografi e scattare qualche foto, attività che comunque fanno parte del gioco, ma per cercare di dare una sostanza maggiore alle parole su cui avrò il piacere di passare qualche ora.


E dopo questa piccola parentesi, arriviamo al dunque.



Paura del Brujo, Diario di un cacciatore di fate di Stefano Fantelli è un titolo pubblicato da Cut Up Edizioni nella collana Cartilagini. Partiamo dal fatto che è qualcosa di più di un romanzo e di un fumetto allo stesso tempo. Mi spiego, oltre al testo vero e proprio ci sono molte illustrazioni di Dario Viotti che definiscono visivamente il mondo che ruota attorno allo stregone.

Si tratta di disegni in bianco e nero precisi, che puntano a un realismo essenziale per riprodurre la realtà senza disperderla in numerosi dettagli. Osservandoli mi sono venuti in menti quei lavori a linea chiara visti su Diabolik disegnati da Sergio Zaniboni ed Enzo Faccioni, ma non mancano delle “reminescenze” dei lavori di Rubén Sosa e Roberto De Angelis, tanto per citare qualche nome.

I testi in forma di diario sono delle schegge conficcate sotto il primo strato della pelle del protagonista, un uomo che oscilla tra la dimensione umana e quella magica.

La narrazione copre un periodo di due anni circa, partendo dall'incontro con l'angelo Manuela, ribattezzata Mela, sino alla “passeggiata” per cercare Casta, una figlia dispersa di un caro amico, per aiutarla a uscire da una situazione difficile.

In compagnia della Morte e di Angelo, un disertore del paradiso, El Brujo sopravvive in una realtà ai margini fatta di lavori umili, svolta nei “mattatoi dell'umanità” e interviene per disinnescare pericoli rappresentati da fate, vampiri, demoni e angeli.

L'immaginario collettivo è presente e in grado di interferire con la quotidianità, ma gli attori che rappresentano il male sono distanti dalla classicità con cui siamo soliti identificarli; le fate non sono delle rassicuranti creature che addolciscono la vita degli esseri umani a suon di incantesimi e magie, ma delle splendide presenze femminili indifferenti all'amore e all'empatia, tratteggiate nel destino beffardo e crudele di essere troppo cattive per meritare il paradiso e troppo buone per sprofondare all'inferno. Dagli anni '70 vivono in esilio sulla terra ed è possibile incontrarle nelle paludi, nei supermercati intente a fare la spesa come un qualsiasi altro cliente, o possono anche essere l'attrazione principale dei più sordidi strip club. La femminilità è sicuramente interpretata attraverso la seduzione, ma dietro alla bellezza si nasconde sempre un pericolo in grado di colpire e ferire nel profondo il personaggio principale.
 
Nonostante l'impegno, risulta difficile intrappolare le avventure in un genere preciso; si tratta di vicende weird da cui emerge una dimensione esistenziale e una psicologia che vanno oltre al semplice intrattenimento. Niente di noioso, sia chiaro. Non vi aspettano pagine di speculazioni metafisiche sulla connessione tra chissà quali misticismi, astrusi sofismi parafilosofici o precisi formulari magici, ma il racconto brillante di uno scrittore/stregone che si innamora sempre della vita, nonostante un cuore bruciato.

Lo stile attrae verso un mondo famigliare, fatto di trascorsi e precisi riferimenti letterari e musicali. Bukowski, Céline, Rimbaud, Hemingway ma anche la carica rock di Iggy Pop o la malinconica sensualità dei The Doors non sono preziose citazioni per esibire una sterile conoscenza accademica, ma diventano parte integrante della voce del Brujo e delle situazioni in cui si muove.

Una lettura in grado di appassionare non solo chi già naviga in un genere che, purtroppo, in Italia non conosce una particolare fortuna, pur avendo tra i propri ranghi testi di tutto rispetto.

Uno degli episodi che ho preferito è “Beagle (ovvero la notte in cui la morte tornò)”. Brujo e Mela stanno vivendo un periodo di pace e serenità, tutto sembra andare per il meglio ma Morte si presenta e deve prendere un'anima…

Vi assicuro, vi ritroverete con la tentazione di lasciar scorrere una lacrima.

Allora, cerchiamo di capire se il buon vecchio Ernest può sbagliare nel formulare un giudizio?

Per una serie di circostanze il fantasma di Hemingway che in vita ha inventato un cocktail, sostenuto un incontro di pugilato per quindici round, è entrato vittorioso in una città spagnola e si rifaceva gli occhi sui seni delle donne con i capelli del colore dei mirtilli, uno che, tanto per intenderci, ha ingoiato emozioni e defecato letteratura, accusa Brujo/Fantelli di non essere capace di scrivere.

Secondo me, l'ectoplasma criticone si sbaglia ma se volete scoprire il perché, dovete leggervi Paura del Brujo, Diario di un cacciatore di fate.

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