Il
6 giugno del '46 Il
Corriere della Sera
annunciava in prima pagina la nascita della Repubblica italiana. Nei
giorni precedenti, per la precisione il 2 e il 3, un referendum
istituzionale chiamava alle urne gli aventi diritto.
Con uno scarto di circa due milioni di voti, la nazione abbandonava
la monarchia e sembrava dimenticare
una guerra civile che aveva
insanguinato un intero
paese
nelle sorti di un conflitto
mondiale.
Sempre
nella stessa edizione del
giornale, nella colonna di
sinistra, appariva
il
titolo che tendeva
a conciliare e, dove possibile, spegnere eventuali antagonismi
con un rassicurante: “Tregua
nazionale”.
In
poco più di un anno, l'Italia era davvero riuscita a voltare pagina
e lasciarsi tutto alle
spalle?
Ho
sempre avuto un debole per la Storia e, pur avendola incontrata tra i
banchi di scuola, non ho mai ceduto alla tentazione di imparare
a memoria delle date e studiare quanto basta da pagina x a y, perché
avevo come la sensazione che fosse uno strumento utile per
comprendere il presente oltre al facile qualunquismo e le facili
soluzioni.
Tornando
al '46, le elezioni
dovevano ancora concludersi che già nell'aria circolava il sospetto
che ci fossero stati dei brogli. Alcuni
gruppi partigiani non ne volevano sapere di consegnare le armi usate
e altri
avevano nascosto la camicia nera nell'armadio ma continuavano a
essere fascisti sotto bandiere diverse.
Anni
dopo, l'aristocratico
Coppi e il popolare Bartali scambiandosi
una borraccia durante una tappa
del Tour de France, più della politica e del buon senso, scongiurano una ripresa delle ostilità e proiettano gli italiani
verso gli anni '50, quelli della ripresa economica.
I
problemi non sono mai stati veramente risolti, ma solo nascosti sotto
il tappeto. Pur cantando tutto il tempo Chi ha avut' ha
avut' ha avut', chi ha dat' ha dat' ha dat', scurdammc’ ‘u
passat, le
tensioni rimangono presenti nella
vita politica e civile sino a
scoppiare in tutte le contraddizioni possibili
il 12 dicembre del '69 - la strage di Piazza Fontana -
e nell'agosto
del '70, quando, a un convegno a Pecorile, nascono
le Brigate Rosse.
Banalizzando
(molto) si potrebbe pensare che un filo rosso e uno nero hanno
attraversato la trama della Repubblica
e dopo venticinque anni si sono affrontati per riuscire a rovesciare
le sorti della Seconda
Guerra
Mondiale
o portare a termine ciò che era stato interrotto con la resa
dell'esercito tedesco, avvenuta l'8
maggio del '45.
Le
cose non sono mai così semplici, gli antagonisti nel corso del tempo
si sono affrontati più volte in un girone all'italiana e, nelle
varie partite, sono entrati in campo il partito comunista sovietico,
l'ingerenza americana, i
servizi segreti deviati, gli
interessi economici e una
guerra fredda.
Non
sono uno storico né,
fortunatamente, un politico. Sono solo un lettore che ha avuto la
fortuna di imbattersi in un ottimo romanzo che, per essere compreso
al meglio, deve essere inserito in un contesto storico; per la
precisione nell'eredità degli Anni
di Piombo.
Bologna
non c'è più di Massimo
Fagnoni è il secondo
capitolo delle indagini di Galeazzo Trebbi. Per
apprezzarlo non
è necessaria un'approfondita conoscenza degli ultimi settanta anni
della storia italiana, ma è utile per
coglierne
alcune sfumature.
Dopo
quanto accaduto ne I delitti della Bassa,
l'investigatore privato torna a occuparsi di un adolescente
problematico, tal Wolfango Lazzarini,
unico erede di una importante
azienda. Il giovane è un consumato tossicodipendente che non gioca
solo con il proprio destino, ma con tutti quelli dei lavoratori, dei
creditori e debitori legati a doppia mandata all'industria di cui, un
giorno, prenderà le redini.
Un caso senza
troppe difficoltà ma che
riserva qualche spiacevole sorpresa. Parallelamente a questa vicenda,
l'autore
ci porta, con dei salti
temporali, sulle tracce di
Pietro Ricci e l'intento che l'educatore cinquantenne ha di
costituire
un'organizzazione
eversiva.
Durante un seminario sulle BR
avrà modo di reclutare alcuni elementi con cui mettere in moto
un'azione
sovversiva in un panorama politico incerto come quello che fu nel
2013. Uno scenario che, tanto
per intenderci, stagnava tra i tecnicismi
di Monti, la nascita del Movimento
5 stelle e la fiacca
opposizione tra Pd e Pdl.
Per
quella che è qualcosa in più di una coincidenza, Trebbi deve
ritrovare una ragazza
e scoprire l'identità dei cospiratori.
Limito
al minimo la sinossi, proprio per non rovinare il gusto della
lettura.
Perché
è un libro
da leggere? Come molti altri autori del noir italiano, Fagnoni
attraversa la società in cui viviamo e non lesina nel mostrare lo
squallore in cui siamo immersi. Lo fa
percorrendo strade scomode e ipotizzando scenari che non sono così lontani dal diventare minacce reali.
Gli
anni '70 sono stati disinnescati dalla boria degli anni '80, il rosso
e il nero si sono annacquati e diluiti negli interessi economici, il
lavoro non è più una realtà solida ma ha l'aspetto di un fantasma
piuttosto pallido. Allora,
come e perché dovrebbe
risorgere un'organizzazione terroristica di stampo politico, contando
che sono state tutte debellate e rese inoffensive? È
una questione di ideologia
o c'è dell'altro?
Leggete
Bologna non c'è più e lo scoprirete.
Bologna
non c'è più di Massimo Fagnoni. Fratelli Frilli Editori,
collana Tascabili Noir.
2015, 244 pagine, € 11,90 disponibile anche in formato ebook presso
tutti gli store on line.
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