martedì 15 marzo 2016

Più veloce, sempre più veloce

 
 
Da quando mi è presa la mania di mettere in fila delle parole, uno dei consigli che mi sono sentito ripetere più spesso è stato quello di leggere.
 
Nel tentativo di tracciare una rotta o - se siete più fatalisti – di accettare il proprio destino, il primo consiglio in merito alla scrittura è piuttosto vago.
 
Cosa e quanto devo leggere poi, perché “sprecare” del tempo prezioso rimandando la soddisfazione della libido scrittoria, quando posso iniziare sin da subito a tessere una trama?
 
 
Mai sentito dire che “il cane frettoloso partorisce cuccioli ciechi” e che “un cieco e un ignorante procedono allo stesso modo”? Oppure, senza spolverare vecchie citazioni latine, qualcuno vi ha mai consigliato il classico atteggiamento prudenziale “prima di fare qualunque cosa, conta sino a dieci”?
 
Nell'epoca in cui quasi tutto è a portata di mano e il consumo veloce si è imposto come regola di vita, passare del tempo a riflettere equivale a fermarsi, scendere dalla cresta dell'onda e rimanere indietro. Si corre il rischio di essere sotterrati nella discarica dove giace il passato e non proiettati verso un futuro radioso e meraviglioso.
 
Che senso ha?
Non ha senso attardarsi e rovistare “nell'immondizia” per salvare gli scarti quando, non senza una certa vitalità, si può edificare il domani con le novità.
 
L'ansia da accelerazione che spinge sempre avanti è un tarlo che divora sia il pilota che il motore; Michelangelo dovette andare “a bottega” prima di manifestare il proprio estro e iniziare a creare capolavori, ma le connessioni immediate di cui è possibile fruire oggi riducono, molto spesso azzerano, la necessità di compiere un processo di crescita e consapevolezza delle proprie potenzialità.
 
Per molti è meglio stare al centro del palco, recitare con il fiato corto la propria parte davanti a un pubblico che restare dietro alle quinte a imparare l'arte.
 
L'alta diffusione dei mezzi di comunicazione e la facilità di accesso a questi teatri virtuali fa cadere la distinzione tra attore e spettatore, trasformando tutti in specchi che si rimbalzano la stessa immagine spacciandola per originale.
 
A questo punto, ha senso leggere prima di mettersi a scrivere?
 
Non è necessario, è indispensabile. Non tanto per sfoggiare nozioni e conoscenza, il sapere si utilizza non si espone, ma per delineare a seconda dei propri gusti una identità che sia più solida del dilettantismo che dilaga ovunque.
 
Ci stiamo sciogliendo nel nulla di cui siamo composti. Non sono un aristocratico della cultura, né mi preme avviare o agevolare un processo elitario di restaurazione dei tempi andati ma dovremmo invertire la rotta, recuperare ciò che ci sta alle spalle e cercare quel detrito che sia il punto di appoggio per scalzare i compromessi che viviamo per non annegare nella crisi culturale.
 

A tal proposito, ho trovato illuminante la lettura de Il compromesso, scritto da Elia Kazan e pubblicato nel 1967. L'autore è soprattutto noto per aver fondato l'Actor's Studio, aver scoperto Marlon Brando ed essere il regista di pellicole come Fronte del Porto, Splendore nell'erba, Viva Zapata, La valle dell'Eden, Un tram chiamato desiderio e Un volto nella folla.
 
Nel '69 l'opera passò dalla carta alla pellicola e lo scrittore diresse una riduzione per il grande schermo ma, nonostante il cast di tutto rispetto, deluse sia la critica che il pubblico.
 
 
Kazan segnò la carriera di molti colleghi, ci riuscì con le proprie opere e con la delazione. Negli anni '50 fu un attivo collaboratore della Commissione McCarthy, una folle quanto ostinata epurazione del rosso dai colori disponibili a Hollywood.
 
Le spie non piacciono a nessuno e così, quando la caccia alle streghe si rivelò per quello che era, fu punito per il suo operato, ma dal suo percorso esistenziale controverso uscirono delle testimonianze di sicuro valore che non possono essere dimenticate.

Il protagonista indiscusso del romanzo è Eddie Anderson, un uomo spostato che distrugge la sua esistenza quando si innamora di Gwen, la sua amante. Se ridotta ai minimi termini, la trama non sembra essere nulla di nuovo, ma non è la solita paccottiglia letta e riletta, poiché oscilla tra Il candido di Voltaire e Il grande sonno di Chandler, due opere che non hanno punti di contatto, ma Il compromesso riesce a essere l'odissea compiuta dall'amante per ricongiungersi all'amata con i toni e le riflessioni degne di un noir.
 
 
Eddie non è un personaggio lineare, piuttosto è una entità che si scompone a seconda dei nomi che assume; ne ha uno quando è il figlio che non riesce a essere all'altezza delle aspettative paterne, lo cambia quando è il pubblicitario di successo e firma con uno pseudonimo quando è il giornalista che ricerca la verità.
 
A seconda della parte che recita, il protagonista indossa una maschera, ma Gwen è quel buco nero che fa collassare tutti i compromessi, riconducendolo a quell'unità da cui è sempre stato attratto.
 
Il compromesso è scritto in prima persona ed è in grado di fidelizzare anche il lettore più distratto grazie anche a uno stile minimalista che non manca di stupire con alcune frasi di sicuro effetto.
 
Non senza una certa ironia e una buona dose di sorrisi amari, denuda la società dal velo dell'ipocrisia e raggiunge profondità di pensiero inaspettate.

È il racconto della crisi di Kazan che, esiliato da Hollywood e spinto ai margini del suo mondo, è stato capace di osservare con lucidità le contraddizioni del suo tempo.
 
 
In merito a quanto detto in apertura della recensione, è una lettura da fare perché ha molto da insegnare. In generale, non è la medicina per aiutarci a guarire dalla nostra condizione, ma potrebbe essere quel veleno che sbilancia l'equilibrio di tutti i nostri compromessi.

Il compromesso di Elia Kazan. Riproposto in formato e-book da Bookmark Literary Agency.

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