Se vi fa piacere, buona lettura.
“Ventiquattro
ore e un fallimento”
Lasciai che il caffè si raffreddasse, poi lo buttai giù con un sorso. Ecco la breve storia della mia quindicesima dose di caffeina. Come le precedenti, era doppia, nera e senza zucchero. Il tiepido gusto amaro mi riempì la bocca. Decisi di cancellarlo con una sigaretta; un altro tubetto di cancro al gusto tabacco era proprio quello che ci voleva.
Mi accomodai
sulla sedia della cucina, cercando di non controllare l’ora.
Tic. Tac. Tic.
Tac.
L’orologio a muro compiva il suo dovere, sembrava urlare: resisti, Tic. le ventiquattro ore Tac. stanno Tic. per finire Tac.
L’orologio a muro compiva il suo dovere, sembrava urlare: resisti, Tic. le ventiquattro ore Tac. stanno Tic. per finire Tac.
L’odore della
nicotina bruciata si mescolava a quello del deodorante per ambienti
all’arancia. Un micro menhir di plastica diffondeva l’aroma a
intervalli regolari e sembrava ticchettare come tutto il resto.
La notte era
scesa da un pezzo; un velo pietoso che nascondeva il traffico nei
garage e regalava un po’ di tranquillità alla città.
Tic. Tac. Tic.
Tac.
Chiusi gli occhi, non dovevo guardare l’ora. Ero vicino al mio
traguardo, sapere quanto mancava avrebbe solo aumentato la
sofferenza.
Tic. Tac. Tic.
Tac.
Li riaprii e
lasciai che la mia attenzione sprofondasse nella tazzina davanti a
me. Cercai di fondere la mia coscienza con la decorazione; una linea
rossa che percorreva l’intero giro attorno al vuoto che contiene il
liquido.
Tic. Tac. Tic.
Tac.
Con la mano
destra la feci roteare piano, seguivo la linea e compivo il mio
cammino. L’esercizio zen terminò quando vidi che una porzione
infinitesimale di porcellana era saltata via, interrompendo per
sempre quel cerchio infinito. Come poteva essere accaduto? Quando si
era danneggiata? Perché la cucina arancione componibile non era
riuscita a proteggerla? Forse la lavastoviglie l’aveva violentata?
Tic. Tac. Tic.
Tac.
Il ticchettio era
tornato.
Volevo urlare,
ruggire il mio dolore, strillare la mia disperazione, espirare
l’angoscia, soffiare via l’ansia.
Mi trattenni, non
potevo svegliare mia moglie. Dormiva nella stanza accanto. Prima di
lasciarmi solo, abbandonandomi per andare a letto, mi aveva chiesto
più volte: perché lo fai?
Tic. Tac. Tic.
Tac.
La mia vita si
consumava per usura e per noia.
La mia vita Tic.
si consuma Tac. per usura Tic. e per noia Tac.
Lo faccio perché
voglio essere più forte della mia debolezza; un atto di coraggio,
sacrificare me stesso per gli altri. Non è come gettarsi tra le
fiamme e salvare una vita o strappare dall’abbraccio delle onde
un’esistenza in balia del capriccio e del destino, ma io volevo
essere un eroe piccolo piccolo.
Tic. Tac. Tic.
Tac.
Cedetti, non
riuscii a resistere e guardai l’ora. Sullo sfondo bianco severi
numeri romani dall’aspetto marziale, segnavano il passo di marcia
delle lancette lungo il tempo sfinito. Osservando un orologio la vita
si converte in ricordo. Mancavano dieci minuti. Solo dieci
fottutissimi minuti. Uccisi la sigaretta nel posacenere.
Tic. Tac. Tic.
tac.
Dovevo resistere
ancora per poco, così per ventiquattro avrei liberato il mondo. Da
cosa? Dallo scrivere inutili stronzate su ogni social network
esistente. Presentarmi agli altri e infettarli con del protagonismo,
vomitare opinioni, sprecare pixel per illudere qualcuno di essere uno
scrittore. E voi? Riuscite a capire che il mondo non ha bisogno di
voi? Il nostro “Io” non è nient’altro che una matrona puttana:
sforna egoismo travestito da vita civile.
Tic. Tac. Tic.
Tac.
Tutte le storie
sono già state scritte, i nostri pensieri non valgono nulla, le
nostre esperienze… quelle non servono mai: commettiamo sempre gli
stessi errori.
Tic. Tac. Tic.
Tac.
Sveglia: non sei
nessuno!
Risi di gusto
sino a piangere. Il tempo vola quando le parole rimangono.
Mi voltai e
afferrai la moka. La svitai e gettai il caffè del filtro nel
lavandino. Un’altra dose di caffeina era in arrivo. Il pacchetto di
sigarette era ancora sul tavolo.
Tic. Tac. Tic. Il
tempo era scaduto.
Per ventiquattro ore avevo reso il mondo un posto migliore. Sono stato eroe solo per un giorno, ma ora rieccomi: non sono quella tazzina.
Spreco altre
parole e molto tempo per scrivere il niente.
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