Un
milione di anni fa mi capitò di leggere L'opera d'arte nell'epoca
della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin. Nonostante
l'opera disgregativa del tempo sulla mia memoria, mi è rimasto un
concetto incastrato tra i neuroni che suona, più o meno, così:
l'opera d'arte perde la sua “aura” quando viene riprodotta in
serie.
Passiamo
dall'astratto al concreto con un solo esempio: La Gioconda.
Certo,
la Signora ha i numeri per farsi notare così, va da sé, è sempre
al centro della scena. Per essere celebre è celebre, niente da dire,
ma questa riproduzione seriale ha ridotto la capacità dell'originale
esposto al Louvre di estendere la propria essenza artistica.
Senza
infiocchettare l'articolo con paroloni difficili tipo ermeneutica e
ontologia, rimango terra terra e vi piazzo il classico “la
confidenza toglie la riverenza”.
Ecco
come siamo diventati grandi amiconi della Monnalisa e abbiamo perso
la capacità di emozionarci per la sua compagnia.
Ormai
è una di noi, che ve lo dico a fare?
La
massa di parole che ho sprecato sino a questo punto, vale anche per
l'orrore oltre che per la bellezza?
Come
no, una certa familiarità con l'orrore ci fodera lo stomaco di
piombo e ci isola dalla possibilità di spaventarci.
Quindi,
presto o tardi, riusciremo a livellare l'orizzonte per rimanere
indifferenti a tutto o quasi.
Va
bene, un ragionamento è bello quando dura poco e i filosofi
speculano solo con la pancia piena, a noi che tocca stare con i piedi
per terra di queste finezze non ce ne facciamo nulla.
La
realtà non è arte, nemmeno ci assomiglia, ma allora com'è che non
riesco a smettere di pensare che la nostra familiarità con alcune
notizie di politica ci ha reso apatici e incapaci di reagire, non è
che siamo diventati immuni allo sdegno della delinquenza nell'epoca
della riproducibilità infinita?
Bene,
credo di essermi parlato addosso più del necessario ma queste e
altre riflessioni mi sono venute in mente leggendo Sangue nel
Redefossi di Gino Marchitelli.
È
un noir che ha il gran merito di non arrovellarsi nella disperazione.
È difficile da spiegare, ma a lettura ultimata non permane la
sensazione che il mondo sia condannato a rimanere un brutto posto
nonostante un epilogo più o meno giusto. L'autore è riuscito a
trasmettermi l'idea – o il sospetto per i più scettici – che è
ancora possibile fare qualcosa per migliorare la situazione.
Le
pagine non emanano profumo di ottimismo, questo no, ma ad alimentare
questa sensazione sono stati soprattutto l'operato e i pensieri del
Commissario Matteo Lorenzi e della giornalista Cristina Petruzzi di
Radio Popolare.
A ragionar per schemi e luoghi comuni, uno è in
divisa quindi tende al nero, l'altra è più rossa della bandiera del
popolo e, magari, stanno assieme nella modalità “strana coppia”,
di quelle belle “litigarelle”.
Sbagliato, Lorenzi proprio non
tollera la nostalgia per il Lui fascista e Cristina non è tutta
dialettica e materialismo storico. La storia sentimentale c'è, sono
sintonizzati sulle frequenze fisiche e psichiche, ma ciò che li
accomuna è una mentalità lucida, non inquinata da ideologie di
qualunque natura, e sono interessati a scoprire la realtà dietro
all'apparenza.
In
merito al taglio della trama, ho apprezzato l'uso di capitoli brevi
ad alta leggibilità e lo spostamento della narrazione sui
protagonisti buoni e cattivi presenti nel romanzo che divaricano lo
sguardo del lettore oltre quello del personaggio principale.
Una
volta che ho spaccato il capello in due, non sono stato così pignolo
da permettermi il quattro quarti, non mi resta che riassumere il
romanzo a una sinossi.
Una
serie di delitti tra San Giuliano Milanese e Macugnaga innesca delle
conseguenze che si abbattono sul consorzio politico, economico e
malavitoso della prima cintura milanese.
Indagando
le dinamiche di un apparente suicidio, il Commissario Lorenzi rimane
impigliato in una ragnatela criminale che coinvolge la giunta
comunale di San Giuliano e i rimpasti politici dell'ultima ora, la
clinica Humana, vero e proprio fiore all'occhiello della sanità
privata, la cooperativa sociale Tierra Madre, gestita da Don Piero,
che si occupa dell'integrazione degli extra comunitari e la Ags,
società dal fatturato milionario controllata dal clan Lojacono.
Ancore
poche parole e poi la smetto, lo giuro.
Sono
partito con il vaniloquio attorno all'erosione dell'aura delle opere
d'arte nell'epoca della riproducibilità tecnica e del rischio che
corriamo nel diventare indifferenti… La lettura di Sangue nel
Redefossi mi ha fatto deviare da questa parabola discendente; mi ha
scaraventato in mezzo a vicende che mi hanno fatto venire in mente
moltissime notizie di cronaca giudiziaria, fatti e misfatti a cui
rischiavo di assuefarmi e di ignorare con una alzata di spalle e una
sentenza: “sono tutti uguali”.
Perché
l'arte non è proprio del tutto inutile, non è solo un orpello per
abbellire magliette, dare un tono ai post di facebook e renderci meno
inclini alla bellezza o all'orrore.
Serve
a farci ragionare e, quando è il caso, ad agire per rendere il mondo
un posto migliore.
Insomma,
“la bellezza salverà il mondo.”
Dostoevskij
docet.
Se
siete arrivati sino a qui, vi ringrazio per l'attenzione.
Ci
si rilegge in giro.
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