“Mi scusi, sono passato in posta
ma l’impiegata mi ha detto che è sbagliato” dice l’uomo, ficcandomi in mano
quel dannato pezzo di carta, uno di quelli che servono per pagare le tasse.
Riconosco il foglio, non saranno
passate nemmeno dodici ore da quando l’ho stampato. Senza aspettare
indicazioni, getto l’occhio sul modulo e scopro che manca una x dentro a una
delle mille caselline disponibili. Sarà rimasta incastrata nella stampante o in
qualche antro oscuro del pdf, ma poco importa. Chiedo una penna allo spaccia
caffeina di fiducia, creo dal nulla una x e la piazzo dove deve stare.
Per la cronaca, il tizio che ho
davanti avrà più di ottanta anni e riesco a immaginare quanta fatica deve aver
fatto per infilare un passo dopo l’altro e mettersi alle spalle giusto quel
paio di chilometri che separano casa sua dagli uffici postali. Sia chiaro, è più lucido
di me e ne ha viste di cose; si è fatto un pezzo di guerra, l’ha
finita tra i monti sparando ai fascisti, ha seppellito troppo presto l’unico
figlio che aveva e la moglie ha tenuto duro, ma saranno almeno venti anni che è
entrata per l’ultima volta in chiesa.
E mentre mi passano davanti le immagini
della sua vita, mi vedo l’impiegata ma… lasciamo perdere. Certo, non è pagata
per sapere dove mancano le cose e come correggere le distrazioni altrui, ma
contando che ne avrà fatti almeno la metà di un milione poteva sprecarsi e fare
qualcosa di diverso che allungare le mani sui soldi non suoi.
Così, scatta il rimorso e, per
riparare alla doppia Odissea a cui lo costringo, gli offro un caffè. Accetta e,
vuoi per non restare in silenzio, iniziamo a chiacchierare. Mi dice che
nell’ufficio ha visto uno di quei “robi” che servono per leggere, non rimane
sul vago e mi dice pure il nome di battesimo del dispositivo elettronico, nato
dalla corteccia di una foresta digitale.
Com’è come non è, finiamo a
parlare di libri e scopro che ne ha letti più di quanti riesco a immaginarne.
Il signore ci tiene a farmi sapere che “no, non ha studiato”, ma cita dei
classici a memoria e dimostra pure di averli compresi tanto e meglio di molti
laureati che mi ronzano attorno. Mi dichiara tutto il suo amore per i gialli e
quando gli dico cosa sto leggendo, mi promette che lo leggerà anche lui per
parlarne la prossima volta che ci incontriamo.
Il tempo stringe e l’orario
dell’ufficio mi reclama, così lo saluto e inizio la mia giornata.
Credete sia finita qui?
Ovviamente no. Dopo un paio di giorni, sempre prima del caffè, ho di nuovo il
piacere della compagnia del venerando lettore. In mano ha un libro e me lo
porge.
“Ho letto XY, bello ma provi questo.”
E mi infila fra le mani Il
falcone maltese di Dashiell Hammett. Si tratta di una edizione del ’72, il fatto
che sia un regalo per me rende quel libro una delle cinque cose più preziose
sulla terra.
Ho provato a rifiutare, ma pare
che non fosse un'opzione disponibile così, una volta tornato a casa, l’ho
riletto tutto di un fiato.
Bene, non sto qui a riassumervi
la trama o che ne abbiano tratto due film. Sono sicuro che in rete c’è chi è
stato più bravo di me a farne una recensione con fiocchi e fiocchetti come
critica letteraria comanda.
Allora, cosa sto a scrivere a
fare?
Mi sembra che tra nuova e vecchia
letteratura ci sia la stessa differenza che passa tra un modulo con o senza una
stramaledetta x, se capite cosa intendo.
Ho come l'impressione che le trame oggi non funzionino se non ci sono tutte le x dove la tecnica esige.
Sempre più spesso vedo molta bravura e pochissimo cuore.
Dico io.
Negli ultimi anni sono stati
scritti molti ottimi romanzi di genere noir, niente da dire, non attacco la
solita solfa del "si leggeva meglio quando si scriveva peggio” o “qui una volta
era tutto hard boiled” ma iniziano a sentire la nostalgia di quelle storiacce che iniziavano con le chiacchiere e finivano con i
proiettili.
Sia chiaro, non mancano
ottimi romanzi freschi di stampa ma sto iniziando a pensare di fare una bella sterzata verso il passato
e tornare a frequentare gente del calibro di Hammett, Chandler, Crumley e
Burnett.
Cosi, giusto per calare un poker
d’assi con cui rifarmi da un paio di mani storte.
A cosa serve questo vaniloquio? A nulla o, forse, è il primo passo verso la rilettura di alcuni
tesori dimenticati.
Detto questo, buona lettura
gente.
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