"C'è un quadro di Klee che s'intitola 'Angelus Novus'. Vi si trova un
angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo.
Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L'angelo della storia
deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una
catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua
rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi,
destare i morti e ricomporre l'infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso,
che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più
chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge
le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che
chiamiamo il progresso, è questa tempesta. "
Se prendiamo per vere le Tesi di
filosofia della storia di Walter Benjamin, il futuro non ha in serbo per noi -
o per la nostra discendenza - una società senza classi o una Federazione Unita
dei Pianeti, ma un costante allontanamento dal Paradiso.
Come dire, mettiamoci l’anima in
pace e continuiamo a precipitare tra le rovine, spinti da una tempesta che non
accenna a finire. Se pensavate che un giorno ci sarebbe stata una redenzione
umana, la possibilità di vivere in una giusta società, mi sa che avete
sbagliato i calcoli o riposto male le vostre speranze.
La storia è una freccia ma non
punta verso l’avvenire ma al cuore della catastrofe, alla faccia di tutti quegli
illuministi che vedevano nel progresso un avvicinamento graduale e costante
verso tempi migliori.
Così, come le galassie nella
teoria del Big Bang, anche gli individui immersi nella storia sono condannati
alla deriva. La memoria del passato più o meno recente indica la direzione e
condanna ogni singolo a prevedere una parte del destino che lo attende.
Come dite, il libero arbitrio? L’uomo
ha la possibilità di cambiare la propria direzione e, come un atomo di
Democrito, può mettersi a giocare agli autoscontri e creare altre possibilità,
migrando verso strani nuovi mondi?
Sfidare il fato non è cosa
semplice, ma non impossibile quindi…
Quindi passiamo alla recensione
de Il segno del Sale di Massimo Ansaldo. Il romanzo è ambientato a Campiglia,
un “mucchietto di case” sul crinale di una collina di fronte al mare, diviso
dall’odio che scorre tra le famiglie Roversi e Durante.
Un paese piccolo con grandi
segreti che nella settimana santa è travolto da alcune misteriose morti.
Negli anni ’40, quando l’Italia è
pronta a precipitare negli incubi della seconda guerra mondiale e vive una
carenza di sale, grazie a una inaspettata scoperta, i due amici Mario Roversi e
Giovambattista Durante avviano un lucroso commercio dell’oro bianco e fondano
una confraternita per gestire al meglio la causa della loro ricchezza. Tutto
sembra andare per il meglio, almeno sino a quando Giovambattista non viene
assassinato e Mario accusato dell’omicidio.
Quasi ottant’anni dopo, Giuseppe
Roversi ed Ermanno Durante sono ancora impegnati ad alimentare il rancore che
li separa ma una manciata di sale umido sulle porte di casa di alcuni dei
discendenti, lo stesso segnale usato per convocare gli adepti, ora è una
condanna a morte, fa riaffiorare vecchi fantasmi e obbliga tutta la comunità a
cercare una verità nascosta.
Una trama affascinante in cui i
tempi della narrazione si sovrappongono e procedono di pari passo. Scritto con
una cura particolare e una buona scelta per le parole adatte a una narrazione “bipolare”.
Il segno del Sale di Massimo
Ansaldo, Leucotea Edizioni 2016, 234 pagine.
Nessun commento:
Posta un commento