Ho cercato ovunque, ma pare che non esista un programma di
lettori anonimi o una terapia che mi liberi dalla schiavitù dalla mia libido
legendi. Vita dura la mia: se entro in un mobilificio non faccio altro che
guardare i libri (finti) sugli scaffali, se visito una città e trovo una
bancarella perdo qualunque interesse per le bellezze naturali e le prelibatezze
enogastronomiche nella speranza di trovare qualche titolo fuori catalogo,
oppure in televisione, quando compariva uno che voleva fare il politico,
controllavo se aveva gli stessi volumi esposti all’Ikea.
Pensate sia bello vivere così? No, soprattutto quando mi
capita di attraversare la città nel giorno della raccolta della carta e non
posso fare a meno di controllare che non ci siano dei tesori in libera uscita
da qualche biblioteca privata.
Comunque ho riconosciuto il problema e sono sulla via della
guarigione, prima o poi chiederò scusa a tutti quelli che ho maltrattato mentre
leggevo e, magari, un giorno entrerò in una libreria solo per chiedere di
cambiare cinquanta euro, senza spendere nulla!
Beh, problemi personali a parte, mi sono imbattuto ne “Il
duca nel suo dominio”, un libro intervista in cui Truman Capote incontra Marlon
Brando. L’ho letto per svariati motivi ma soprattutto per imparare – per quanto
mi è possibile – a fare delle interviste più o meno decenti.
Si tratta di un volume di agevole lettura, siamo sulle 70
pagine stampate modello cartellone pubblicitario e non è altro che la
riedizione di quanto apparso sulle pagine del New Yorker nel novembre del ’57.
Come per Il cinema secondo Hitchcock di Francois Truffaut, è da leggere
soprattutto per la caratura dei personaggi coinvolti, per la testimonianza che
rappresenta e, perché no, conoscere da vicino celebrità che hanno illuminato e
trasformato il loro tempo. Stavo per scrivere una recensione seria – o qualcosa
che gli somigliasse – dove raccontavo di quanto Marlon fosse interessante anche
se chiuso in una camera d’albergo mentre si lamentava dei problemi di peso, del
girare un film che non lo soddisfaceva (un po’ come fu per Apocalypse Now) e da
cui emerge il suo carattere non proprio così affabile ma, sul più bello della
stesura, mi sono fermato.
Ho avuto la malaugurata idea di pensare se oggi sia
possibile chiudere due Grandi nella stessa stanza e sperare che ne esca
qualcosa degno di pubblicazione.
La risposta è no, non perché manchino personalità di
rilievo, ma sono venuti meno i presupposti per conoscere da vicino alcuni
“personaggi”.
Mi spiego. Capote sosteneva che “il segreto dell’arte di
intervistare – ed è davvero un’arte – è far sì che l’altro pensi che sia lui a
intervistarti. Tu cominci a raccontargli di te, e piano piano tessi la tua rete
finché l’altro non ti racconta tutto di sé.”
Si tratta della stessa arte che sta alla base di A sangue
freddo, un romanzo difficile da ignorare e che ha contribuito a diffondere la
narrativa non-fiction.
Gli artisti, più piccoli che grandi, gli assassini, i
politici e anche quelli senza arte e parte ormai sono sempre presenti dal vivo
in qualunque mezzo di comunicazione disponibile. A questo punto, richiudere
questa gente in una stanza è, di fatto, procurargli un danno all’immagine o
limitare la perenne sovraesposizione mediatica con cui tengono viva
l’attenzione del proprio pubblico.
Quindi ora non c’è più bisogno di qualcuno che avvicini la
Star e ci conviva per un paio di giorni a suon di chiacchiere e confidenze. Con
la democrazia istantanea di internet, ognuno può farlo da sé secondo i gusti e
metodi che preferisce.
Non è difficile scoprire come abbia passato una giornata il
presunto omicida se l’avvocato non fa altro che andare in tv, né è difficile
sorridere dei gusti sessuali di qualche indagato di turno se le intercettazioni
vengono pubblicate un giorno sì e l’altro pure o se quell’attore così tanto
schivo e riservato abbia o meno parcheggiato le mani sulla faccia della moglie.
Penso che Capote scelse un certo tipo di affermazioni,
riconosco a volte un po’ al limite del gossip, per assemblare un articolo che
incontrasse la curiosità e i gusti dei lettori.
Oggi manca un filtro, ma non siamo più capaci di scegliere
quale sia un’informazione adatta a un contesto pubblico e quale a una sfera
privata.
Siamo diventati onnivori, mangiamo veramente di tutto, e gli
ingredienti per rendere indistinguibile la cioccolata da quell’altra cosa non è
lo zucchero, ma il trucco di rendersi più simili a chi ascolta e fare leva sui
desideri e le pulsioni più o meno libidinose.
Ed è così che posso sapere cosa ha nel frigo il mio vip preferito
o quale sia il flirt del momento. Se pensate che sia di parte, non tutti i
personaggi pubblici stanno 24 ore nel mondo virtuale, mi permetto di riportarvi
una misera affermazione di un opinionista del social network blu che, dopo una
abborracciata argomentazione in cui non esisteva alcuna distinzione tra
notorietà e capacità, in merito a un utente famoso scomparso dalla lente di
ingrandimento che tutti trova, dichiarava che:
Se non è su Facebook, non esiste.
Troppo forte? Allora provate a pensare a qualcosa che non si
può vedere e di cui non si può parlare.
Esatto, o è materia di fede o non esiste.
E in un ambiente virtuale in cui nulla è reale, la verità
prende consistenza sulle approvazioni (tra pollici alzati e faccine sorridenti
erano circa un centinaio), i commenti applauso a supporto (settantasette e me li
sono letti tutti) e le condivisioni per diffondere il verbo (ben cinque).
Poi, che la realtà sia, come sosteneva P.K.Dick, “ciò che si
rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci” poco importa, anche perché,
per certi soggetti, non è più l’ambiente in cui vivono ma una moneta da
convertire per farcire un mondo altrimenti vuoto, composto da pixel e tenuto
assieme da connessioni transoceaniche.
In merito mi viene in mente una storiella.
Ci sono due pesci giovani che parlano del più e del meno
quando passa un pesce anziano e chiede: “com’è il mare oggi?”
I due chiacchieranti si guardano allibiti e con un sorriso
di scherno rispondono: “ma cosa stai farneticando, cos’è il mare?”
Bene, per finire mi manca solo una cosa.
Marlon Brando all’uscita dell’articolo non fu molto
entusiasta e non mancò di far sapere cosa ne pensava di tutta l’operazione.
“Quel piccolo bastardo ha passato metà della serata a
raccontarmi tutti i suoi problemi; ho immaginato che il meno che potessi fare
fosse raccontargliene un po’ dei miei.”
Uomo d’altri tempi, non sa che oggi il piccolo bastardo non
è più un solo giornalista ma ogni social esistente.
Ora, questo non è un articolo scientifico e non avanza
nemmeno pretesa di veridicità. Sono solo le mie opinioni, espresse senza
ritegno e stile, propinate con una mole inconcludente di righe e citazioni, per
lo più scaturite dalla lettura di un libro e, come tutte le opinioni, valgono
ben poco. Inoltre, si possono dimenticare prima di cliccare un nuovo link.
Se sei arrivato a leggere sino a qua, hai tutta la mia
stima e ti ringrazio per l'attenzione.
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