Qualche giorno fa ero impegnato a calpestare i marciapiedi di
una città che non conoscevo e, nell’incauta esplorazione, mi sono ritrovato nel
bel mezzo di un mercato. Non ho nulla da vendere, non mi diverte come ogni
altro luogo affollato e non appartengo neppure ai migliori indicati da
Pitagora, quindi mi sentivo a mio agio quanto una cozza viva in un piatto di spaghetti
allo scoglio.
Mentre cercavo una via di uscita, mi sono imbattuto in un
mendicante. Non era vestito all’ultima moda e la barba non era così curata da
farlo assomigliare ai talebani “de noartri”, quei ragazzotti con le caviglie
scoperte in pieno inverno che si rifiutano di vivere come gli infedeli del buonsenso.
Era seduto a terra, con un piattino per raccogliere le
offerte e un cartello che, se devo essere sincero, era un capolavoro pubblicitario.
Un cartone bianco strappato a qualche scatolone e una
semplice scritta fatta con un pennarello nero:
E se fossi tu ad avere fame?
Una bella domanda a cui quasi tutti rispondiamo con una
spolverata pragmatica per attuare i buoni propositi: trovo un’occupazione
retribuita per comprare de cibo, tiro su le maniche e lavoro abbastanza per
mettere assieme il pranzo con la cena ecc ecc.
Un piano attuabile certo, almeno sino a quando la buona
volontà non è stata obbligata a duellare in punta di fioretto con tutti quegli incapaci
che hanno legiferato per tutelare il mercato del lavoro o con gli squali che
hanno sbranato quel poco con cui apparecchiavamo la tavola.
Ma non sono qui per parlare di economia o politica, ho un
cervello troppo piccolo per capire delle materie così difficili, così mi limito
a riportare le mie impressioni su Era la Milano da bere di Alessandro Bastasi –
Morte civile di un manager.
Il romanzo, ambientato – ovviamente – a Milano, è una
radiografia spietata della società e degli effetti della caduta economica e
sociale di Massimo Gerosa. Ne consiglio la lettura a tutti quelli che “non sei
qualcosa sino a quando non ti pagano per esserlo” e chi non riesce a
distinguere le sfumature di senso tra apparire ed essere.
La sinossi.
Dopo un licenziamento per ingiusta e vaga causa, Massimo
Gerosa non è più un rampante manager della Comor ma un disperato disoccupato in
cerca di una soluzione con cui mantenere il proprio lussuoso stile di vita. Le
prime a farne le spese sono la moglie Anna Lavino e la figlia Cristina. Una è
una donna appagata dalla nobiltà di un grasso conto corrente e disposta a tutto
pur di non rinunciare a nulla, mentre l’altra è una ragazza nauseata dalla
patina lucida di una vita “da bere”. Dopo essere stato cacciato di casa,
esiliato in alberghi di quart’ordine, trova un porto sicuro e un lavoro nella
sede di un movimento extraparlamentare di estrema destra.
Massimo però non accetta di essere uno sconfitto, un uomo a
metà, così cerca vendetta contro chi lo ha spinto verso il basso.
Si tratta di una storia di solitudini, una diaspora
familiare e sociale alimentata da una povertà più spirituale che economica,
ridotta in schiavitù dai mostri prodotti dal darwinismo sociale cose del tipo:
arrivismo, avidità, assenza di scrupoli, concorrenza sleale e non mancano
atteggiamenti di sessualità predatoria, ricerca dell’impunità, sfruttamento e
riduzione ai minimi termini degli ultimi, quelli che non hanno abbastanza soldi
per comprarsi un’opportunità.
La narrazione è scandita da un tempo non lineare, nell’interazione
tra passato e presente il lettore non perde mai la cronicità della storia ed è
invogliato a una lettura compulsiva.
L’autore non ha usato filtri molesti per addolcire lo
squallore in cui boccheggiamo e, pur essendo un’opera di fantasia, ha
rappresentato la realtà che volenti o nolenti abbiamo il coraggio di digerire.
Che sia piaciuta o meno la recensione poco importa, ora
chiediti:
Se fossi io ad avere fame?
Era la Milano da Bere – Morte civile di un manager di
Alessandro Bastasi. Fratelli Frilli Editori collana Tascabili Noir.
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