Nella vita mi sono trovato in
posti strani. Una notte venni svegliato da un generoso agente di Polizia mentre
dormivo su un marciapiede vestito da Elfo aiutante di Babbo Natale. Oppure la
volta in cui fui intrappolato da alcuni studenti di psicologia dentro un’aula
universitaria. Nel primo caso c’entra qualcosa l’ebbrezza – sfuggita di mano -
di una festa scolastica, nel secondo la colpa è di un piano di studi compilato
senza troppa cura nei dettagli.
Come disse Homer Simpson: la scuola è
la causa e la soluzione di tutti i problemi.
O era l’alcol?
Comunque sia, sono pulito, è da molto
tempo che non studio più e sono rientrato nei ranghi, ma alcune volte il
passato torna a bussare.
In questi giorni sono andato dalla
spaccia-fumetti di fiducia e ho visto il volume cartonato di Hush di Jeph Loeb
e Jim Lee.
Mi si è stretto il cuore.
Qualche anno fa durante un trasloco ho
scoperto il reale significato di “rimozione” in psicologia; quel meccanismo
psichico con cui il subconscio fa “sparire” dalla coscienza alcuni desideri,
pensieri e ricordi che possono far seri danni al paziente.
Facciamo un passo indietro.
Quando mi ritrovai in una selva di
psicologi, la retta via era smarrita e nel momento in cui le fiere che mi circondavano
scoprirono che leggevo fumetti, fui incauto a farmi sorprendere con un albo tra
le mani, mi giudicarono malato da sindrome di Peter Pan o fermo alla fase
fallica del mio sviluppo psicosessuale (non mi era chiaro come lo spostamento
della libido all’organo riproduttivo e la conseguente nascita del complesso di
Edipo fossero correlati alla lettura di un fumetto, ma tant’è).
La cosa mi procurò un certo disagio
quando mi dissero di non essere “quasi normale” ma “molto malato”.
Ad alleviare il mio disagio fu un cambio di residenza che, attraverso oscuri maneggi, fece sparire la scatola degli spillati dal 2000 al 2003.
Sì, c’era anche Hush tra i titoli
perduti.
Inutile dire che non sono uscito a
mani vuote dalla fumetteria e l’acquisto del volume cartonato è servito per
l’ennesima terapia d’urto; ho rivissuto tutto il mio piacere a essere infantile
e no, non sono guarito, ma piacevolmente regredito, ancora una volta.
Jeph Loeb e Jim Lee sono due nomi che
non hanno bisogno di presentazioni e, nonostante le reazioni contrarie che può
suscitare Hush, i due hanno sfornato un’opera monumentale.
Se devo essere sincero, sono uno che
preferisce le storie in “solitaria” dell’Uomo Pipistrello ma, quando una storia
è bella, meglio non dare ascolto ai pregiudizi personali e uscire dai propri
limiti.
Come fu già in Knightfall, anche in
questo caso arriva un cattivo “nuovo di zecca” con un piano per sconfiggere il
Crociato Incappucciato, ma questa volta Batman non è da solo perché al suo
fianco, pur tra sospetti e tradimenti, ci saranno molti alleati.
Tutto inizia con il rapimento di
Edward Lamont IV, l’erede del patrimonio della Lamont Chemical, un’industria legata
alla LexCorp. Batman riesce a risolvere la situazione, ma alcuni dettagli non
tornano; il colpevole non è il mandante ma solo un esecutore, perché non è così
intelligente e non dispone delle risorse necessarie per gestire un affare
così difficile.
Allora, chi muove i fili?
Di più non è possibile svelare della
trama, perché si svolge attraverso molti colpi di scena e relega Hush, una
misteriosa presenza nascosta dietro un impermeabile e delle bende sul viso,
sempre ai margini di alcune vignette prima di un finale “faccia a faccia”.
Negli anni Gotham City è stata la meta
preferita di una migrazione criminale, le cause possono essere la presenza di
Batman che li attira come una calamita o, per essere più cinici, l’eccessiva
fama editoriale del personaggio Dc, ma è chiaro che il Vigilante non può fare
tutto da solo e contando anche gli esiti nefasti di Terra di nessuno è evidente
che ha sempre bisogno di aiuto. Così, oltre all’ennesimo Robin, si sono
aggiunti Batgirl/Oracle, Huntress, sempre più spesso Nightwing abbandona Blüdhaven
per fare una rimpatriata, finché Azrael non calca la mano può anche rendersi
utile, senza contare gli storici alleati Jim Gordon e, a fasi alterne,
Catwoman.
Insomma, per uno come me, sui
tetti della città c’è troppo traffico. Sarà che nell’eterna contraddizione tra
“l’unione fa la forza” e “chi fa da sé fa per tre” preferisco sempre il secondo
ma Hush è riuscito a sconfiggere la mia atavica asocialità per molti buoni
motivi.
La sceneggiatura di Loeb è
impeccabile. Il merito principale è quello di riuscire a far dubitare di tutto,
anche dell’ovvio. Non c’è un attimo di tregua e, chiave di volta di tutta la
narrazione, diventa difficile capire se e quanto gli amici e gli antagonisti
siano parte o pedine del piano di Hush e per quale motivo alcuni di loro agiscano
al di fuori del loro consolidato modus operandi.
Si crea un’atmosfera di
incertezza che travolge la schizofrenica esistenza di Bruce Wayne. L’uomo sotto
la maschera è costretto a mettere a rischio la propria identità segreta,
riflettere sulle cause del naufragio dei suoi legami e la possibilità di
risolvere il proprio dolore spingendosi oltre il limite nel confronto con il
Joker.
Se questa uscita dagli “schemi
ordinari” potrebbe non essere gradita ad alcuni lettori, l’altra fonte di
insoddisfazione è constatare che il più grande nemico non sia un clown
assassino, ma la possibilità che possa essere un umano “troppo umano” con una
calzamaglia e non il più grande detective o, come lo definì Superman altrove in
un’altra storia, l’uomo più pericoloso della terra.
Il fiato corto di questa
“voluminosa” avventura non è solo dovuto al continuo susseguirsi di cattivi
eccellenti o pezzi di passato che colpiscono dove fa più male, ma nel vedere
come Batman sia in costante difficoltà e, a volte, incapace di reagire
adeguatamente.
Cosa si può dire delle tavole di
Jim Lee? Meravigliose, come minimo. Sono quell’ingrediente in più che
conferiscono dinamismo alle azioni e donano quell’epica necessaria per
affrontare un nemico molto pericoloso.
Buona lettura, a presto.
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