Santa donna la madre di Forrest
Gump ma si è dimenticata di dire a suo figlio che il “non sai mai quello che ti
capita” non vale solo per i cioccolatini e la vita ma anche – e soprattutto –
per le persone. A tal proposito vi racconto una storia.
Per tutelare la privacy dei
soggetti coinvolti userò nomi di fantasia.
Era il ’74 quando il traffico
impartì una lezione di vita a tutti i presenti in uno degli incroci più stretti
e balordi della città in cui vivo. Non pensate a un’apocalisse automobilistica,
niente di così grave, si trattò soltanto di un semplice e banalissimo ritardo
semaforico. Comunque, quando scattò il verde, il primo della fila ci impiegò
qualche secondo di troppo per partire, al punto che era ancora fermo quando
Piero si mise a pestare il clacson e gesticolare per manifestare – non molto
garbatamente – il proprio dissenso per la mancata partenza.
Piero era uno che camminava con
il petto in fuori come Braccio di Ferro dopo aver divorato una scatola di
spinaci, non era mai ragionevole, voleva aver ragione a qualunque costo, scattava
per nulla e si inventava pretesti pur di fare la voce grossa lasciando intuire
che non avrebbe avuto paura di menar le mani e poi non si preoccupava di
apparire ridicolo pur di spuntarla con chiunque.
In poche parole, era
l’antesignano dei mille leoni da tastiera dei social network.
Il tizio davanti diede un’occhiata
allo specchietto retrovisore. Vide il siparietto aggressivo ma non lasciò
correre, scese dal mezzo. Piero pensò fosse una buona occasione per esibire la
coda come il pavone e mettersi in mostra, ma ancora prima di appoggiare il
piede a terra si ritrovò una P38 sulla fronte.
Su cosa disse l’uomo armato ci
sono diverse versioni, ma la più ricorrente nei resoconti che ho sentito è
stata: “che cazzo hai da suonare?”.
Piero in merito non ricorda
nulla, si stava – letteralmente – sporcando la biancheria intima.
Bene, fate sempre attenzione a
chi avete attorno perché “non sai mai quello che ti capita”.
Ora, vi consiglio di guardare il
corto che trovate qui sotto. Si intitola Dirty Laundry, diretto da Phil Joanou
nel 2012, sceneggiatura di Chad St. John, con Thomas Jane - sì, ha interpretato
Frank Castle/The Punisher nella pellicola omonima del 2004 – e Ron Perlman.
Lo avete visto? Bene, altrimenti
addio al colpo di scena finale…
Prima della seconda serie di Marvel’s
Daredevil su Netflix, questo corto è stata l’unica trasposizione
cinematografica degna di nota del Punitore, uno dei miei personaggi preferiti.
È un progetto indipendente, a
tutti gli effetti si tratta di un fan film (in rete ce ne sono di stupendi).
Non sto a cianciare della regia, montaggio ecc ecc, anche Matt Murdock
riuscirebbe a vedere che c’è dell’arte e anche della parte. Personalmente ho
trovato due nei; la qualità degli effetti speciali durante lo scontro e la
pessima scelta di inserire Why So Serious di Hans Zimmer come sottofondo
musicale all’arrivo dello spacciatore, musica che fu usata per le apparizioni
del Joker/Heat Ledger nel film di Nolan.
Per il resto nulla da ridire,
davvero.
Thomas Jane era un volto adatto
per interpretare il Punitore, non capisco tutta quella manica di criticoni che
affossa la sua prestazione nel film del 2004. Era una pellicola a dir poco
ridicola, vero, verissimo, ma non è dipeso da capacità recitative del cast,
errata caratterizzazione del personaggio o una delle mille sciocchezze che mi è
toccato sentire.
Il film fu tratto dal ciclo di
storie proposte da Garth Ennis per rilanciare la testata del Punitore.
Il tentativo di trasporre sul
grande schermo una sceneggiatura dell’autore irlandese e ripulirla abbastanza
per farla digerire al grande pubblico, sarà sempre destinato al fallimento. Ennis
scrive storie dai contenuti profondi, ma esteticamente eccessive, grottesche e non
lesina nell’uso della violenza estrema, esibita sino al punto da disinnescarne
l’effetto disturbante.
Storie con queste
caratteristiche, se messe a mollo nell’ormai onnipresente politically correct,
perdono di efficacia e bellezza.
Più o meno lo stesso problema che
ebbe Daredevil con Ben Affleck. Cercare di trasformare una storia di Frank
Miller in un polpettone più o meno allegro - buono per famiglie e ottimisti -
fu una buona occasione per sprecare un sacco di dollari.
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