martedì 10 gennaio 2017

Una città perfetta.




Poteva essere il ’93 o giù di lì quando in un giorno solo feci un viaggio di andata e ritorno da Torino a Venezia. Una prenotazione telefonica e due biglietti del treno furono lo stretto necessario per riuscire a vedere dal vivo questo meraviglioso trittico.   


Questi tre pannelli rappresentano la città ideale nel XV secolo. Il primo è esposto al Walters Art Museum di Baltimora, il secondo alla Galleria Nazionale delle Marche a Urbino e l'ultimo nella Gemäldegalerie a Berlino. Era un’occasione abbastanza unica per vederli tutti assieme, per cui non ho saputo resistere.

Sono tutte opere di anonimi anche se, di volta in volta, la realizzazione viene attribuita ad artisti importanti tra i quali Piero della Francesca o Leon Battista Alberti, solo per citarne qualcuno.

In breve, e senza voler vomitare quelle quattro cose che so del Rinascimento, raffigurano la città ideale in bilico tra utopia e matematica e sono il segno più tangibile dell’allontanamento dalle fortificazioni medievali come modello di città e di vita pubblica.


Ho sempre creduto che erigere muri, scavare fossati e isolarsi da tutto non sia la soluzione, anche perché tende a tirare fuori il peggio dagli autoesclusi. Sono consapevole che la situazione politica ed economica del mondo non sia facile ma, ripeto, la soluzione non è tirare su muri più alti o scavare fossati più profondi.

Il tema degli effetti collaterali dell’isolamento è presente nella produzione di J.G. Ballard, specie in Un gioco da bambini. Titolo forse meno noto rispetto a Il condominio, Millenium People, Crash, La mostra delle atrocità e L’impero del sole. Il romanzo è ambientato nel 1988 a Pangbourne, una residenza costruita a pochi chilometri da Londra e che anticipa sulla carta - di almeno una decina di anni - la citta Heritage Park progettato da George Hazeldon.


Il centro residenziale descritto da Ballard dispone di molti servizi interni al punto da essere quasi autosufficiente, gli unici estranei ammessi sono i domestici a servizio presso alcune famiglie, ed è protetto da una rete metallica dotata di un sistema d’allarme elettronico sorvegliato costantemente da guardie armate, cani addestrati e videocamere.

I residenti hanno tutti raggiunto un benessere economico, svolgono professioni di prestigio e all’interno della comunità conducono una vita in cui ogni singola azione è volta a massimizzare la felicità di ogni membro.


Non esiste criminalità, il degrado non trova spazio nella razionalità e nella cura con cui è gestito il complesso Pangbourne, in tutto e per tutto simile a una cittadella medievale. In quello che doveva essere il paradiso sociale però avviene un massacro. Tutti gli adulti vengono brutalmente uccisi, pur essendo protetti da ogni sistema di sicurezza disponibile, e i tredici figli sono stati rapiti.

Con l’aiuto del Sergente Payne del Cid e nonostante la pressione dell’opinione pubblica e del governo, il dottor Richard Greville dovrà scoprire cosa è successo nella mattina del 25 Giugno e vedere quanta follia si nasconde dietro a delle esistenze perfette.

Il motivo che mi spinge a segnalare questo libro è molto semplice. Spesso e volentieri le notizie di cronaca ci raccontano come la perversione trovi terreno fertile in realtà isolate. Inoltre, non amo i circoli esclusivi, i gruppi chiusi e le menti troppo strette. Se in un locale fanno selezione all’ingresso, non mi fermo nemmeno a fare la coda perché ci si può divertire anche altrove e poi mi annoio a trovare le differenze tra chi è dentro e chi è fuori.

Un gioco da bambini di J.G. Ballard. Feltrinelli editore, collana Universale economica. 92 pagine, € 7,00.

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