giovedì 9 febbraio 2017

La responsabilità nelle pulizie.







Quando ancora non utilizzavo tutte le dita di una mano per dichiarare la mia età, sono stato corrotto dalle dolci promesse delle caramelle e, per godermi tutto quello zucchero, avevo studiato un piano perfetto: scartare, mangiare, infilare la carta sotto il tappeto.

Sapete già come è andata a finire, vero?

Sono cose da bambini, chi altro si comporterebbe così?

Tutti noi a qualunque età.

I castighi genitoriali e ogni altra esperienza fatta non ci hanno insegnato a trovare delle soluzioni migliori, ma solo a delegare a qualcun altro il compito di alzare il tappeto.


Rimaniamo in tema e parliamo di spazzatura. Desideriamo, compriamo e consumiamo quintali di oggetti del tutto inutili. Quando non ci servono più, dove finiscono? Esatto, nell’immondizia e mi libero del problema non appena deposito il tutto nel cassonetto.

Sono gli operatori ecologici a doversi occupare dello smaltimento, quindi ce ne possiamo lavare le mani e restare puliti

Che ci siano treni e navi pieni di pattume in viaggio verso qualunque destinazione o si accendano inceneritori come candeline su una torta, ma chissenefrega.


E che noia i soliti quattro ambientalisti che manifestano, per non parlare di quelli che si lamentano della discarica sull’uscio.

Poi, “con tutto quello che paghiamo di tasse, si diano un po’ da fare invece di sedersi a tavola per il solito magna magna!”

È vero, non possiamo fare tutto, qualcosa dobbiamo pur delegarla.

Ma qualcosa, non tutto.

Smettiamola di fabbricare scuse ridicole per continuare a nascondere tutto sotto il tappeto. Per migliorare la situazione basterebbe un minimo di impegno e coscienza civile…

Tranquilli, sto scherzando. Fanno tutti così, che male c’è e perché mai dovremmo cambiare?

Finché la barca va, lasciala affondare.


Per tutti quelli che giudicano e non vogliono essere giudicati, gli stessi che girano con le tasche piene di prime pietre da scagliare, continuerò a parlare di “rifiuti”.

Per tutti gli altri intenti alla lettura, di seguito scriverò qualche parola a proposito di Nella pancia del mostro di Dario Villasanta. Un romanzo testimonianza sulla condizione degli internati in un ospedale psichiatrico giudiziario.


Prima di dare sfogo alla mia mania recensoria, mi pare doveroso puntualizzare alcuni punti.

A tutti quelli che inneggiano ai carceri duri e alla pena di morte ricordo che negli Stati Uniti i penitenziari non sono una beauty farm e la pena di morte in qualche stato c’è, ma non per questo hanno risolto il problema della criminalità.

Dite pure che sono amico dei balordi e dei delinquenti, meglio così che essere complice di qualche ingiustizia che trova in voi il mandante.

Chi sbaglia paga, sono d’accordo, ma non è nascondendo – ancora una volta – il problema sotto il tappeto che lo risolveremo.

Le mie sono opinioni quindi potete prenderle per quanto valgono, ma non è con un giro di vite che si vince la guerra contro il crimine; sino a quando continueremo a demolire il sistema educativo e polverizzare il tessuto sociale favoriremo il crimine.

La scuola non è un parcheggio prima del lavoro - che non c’è - ma un luogo in cui non si imparano solo noiose lezioni, ma molte altre cose. Vivere in comunità, rispettare regole e consegne. Avere un minimo di responsabilità e iniziare a lavorare per raggiungere degli obiettivi.


Anche la preziosa collaborazione tra scuola e famiglia si è trasformata in una ridicola battaglia di genitori ignoranti e arroganti contro docenti impotenti, impauriti e poco tutelati.

Le famiglie? Se non sono distrutte dalla crisi economica lo sono da quella culturale. In un mondo normale, alcuni personaggi televisivi, e non, morirebbero di fame sul marciapiede, non sarebbero un esempio e un modello a emulare.

Dovremmo anche tornare a chiamare le cose con il proprio nome e non sdoganare la strategia che con un pompino si può arrivare più in alto che con una laurea.

Ovvio, questa non è una soluzione ma il tentativo di buttare un goccio d’acqua potabile in un oceano contaminato.


Sono vecchio dentro, meglio così.

Perché essere giovane come alcuni, mi farebbe perdere il sonno e mi impedirebbe di guardarmi allo specchio senza provare un misto di vergogna e ribrezzo.

Bene, pur avendo scritto troppo, ho detto meno di quello che vorrei.

Dicevamo, Nella pancia del mostro è un romanzo di Dario Villasanta che riprende le fila da Il prezzo (recensito qui) e riporta il lettore nelle vite di Domenico, Giulia e Marina.


Davide Villari è stato rinchiuso nuovamente in un ospedale giudiziario, ha bisogno di un aiuto per fuggire dalla pancia del mostro che digerisce tutto e tutti. L’unica sua speranza è quella di chiedere aiuto a Domenico, ma chi è Davide Villari?

La scrittura è sempre onesta e sincera, frutto di un’urgenza nel raccontare un’esperienza vissuta in prima persona dell’autore; quando ci si libera di un passato scomodo ho notato che la lingua e la penna tendono a essere poco inclini a evoluzioni artistiche o simpatie da saltimbanco.

Vai a capire perché, ma tendono sempre a graffiare e mordere chi le incontra.

In merito alla trama. La storia si forma con il contributo di più personaggi fuori e dentro dall’ospedale psichiatrico giudiziario e si snoda attraverso la possibilità di redenzione, il peso della riconoscenza e la speranza di scoprire qualcosa in più sul conto del misterioso Dax.


Tutto qui? No, il vero motivo per leggere Nella pancia del mostro è, se non avete paura di uscire dal guscio delle solite sicurezze, andare a sbattere la faccia sulle prevaricazioni quotidiane tra i muri di un inferno, l’indifferenza con cui l’incredibile diventa routine e scoprire quanto il degrado umano e legislativo possa scendere in basso.

Insomma, andate ad alzare il tappeto.


Nella pancia del mostro di Dario Villasanta. Lettere Animate Editore. 210 pagine, € 12,35. Disponibile anche in formato elettronico.

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