Quando ancora non utilizzavo
tutte le dita di una mano per dichiarare la mia età, sono stato corrotto dalle
dolci promesse delle caramelle e, per godermi tutto quello zucchero, avevo studiato
un piano perfetto: scartare, mangiare, infilare la carta sotto il tappeto.
Sapete già come è andata a
finire, vero?
Sono cose da bambini, chi altro
si comporterebbe così?
Tutti noi a qualunque età.
I castighi genitoriali e ogni
altra esperienza fatta non ci hanno insegnato a trovare delle soluzioni
migliori, ma solo a delegare a qualcun altro il compito di alzare il tappeto.
Rimaniamo in tema e parliamo di
spazzatura. Desideriamo, compriamo e consumiamo quintali di oggetti del tutto
inutili. Quando non ci servono più, dove finiscono? Esatto, nell’immondizia e
mi libero del problema non appena deposito il tutto nel cassonetto.
Sono gli operatori ecologici a
doversi occupare dello smaltimento, quindi ce ne possiamo lavare le mani e
restare puliti
Che ci siano treni e navi pieni
di pattume in viaggio verso qualunque destinazione o si accendano inceneritori
come candeline su una torta, ma chissenefrega.
E che noia i soliti quattro
ambientalisti che manifestano, per non parlare di quelli che si lamentano della
discarica sull’uscio.
Poi, “con tutto quello che
paghiamo di tasse, si diano un po’ da fare invece di sedersi a tavola per il
solito magna magna!”
È vero, non possiamo fare
tutto, qualcosa dobbiamo pur delegarla.
Ma qualcosa, non tutto.
Smettiamola di fabbricare scuse
ridicole per continuare a nascondere tutto sotto il tappeto. Per migliorare la
situazione basterebbe un minimo di impegno e coscienza civile…
Tranquilli, sto scherzando. Fanno
tutti così, che male c’è e perché mai dovremmo cambiare?
Finché la barca va, lasciala
affondare.
Per tutti quelli che giudicano e
non vogliono essere giudicati, gli stessi che girano con le tasche piene di
prime pietre da scagliare, continuerò a parlare di “rifiuti”.
Per tutti gli altri intenti alla
lettura, di seguito scriverò qualche parola a proposito di Nella pancia del mostro
di Dario Villasanta. Un romanzo testimonianza sulla condizione degli internati
in un ospedale psichiatrico giudiziario.
Prima di dare sfogo alla mia
mania recensoria, mi pare doveroso puntualizzare alcuni punti.
A tutti quelli che inneggiano ai
carceri duri e alla pena di morte ricordo che negli Stati Uniti i penitenziari
non sono una beauty farm e la pena di morte in qualche stato c’è, ma non per
questo hanno risolto il problema della criminalità.
Dite pure che sono amico dei
balordi e dei delinquenti, meglio così che essere complice di qualche
ingiustizia che trova in voi il mandante.
Chi sbaglia paga, sono d’accordo,
ma non è nascondendo – ancora una volta – il problema sotto il tappeto che lo
risolveremo.
Le mie sono opinioni quindi
potete prenderle per quanto valgono, ma non è con un giro di vite che si vince
la guerra contro il crimine; sino a quando continueremo a demolire il sistema
educativo e polverizzare il tessuto sociale favoriremo il crimine.
La scuola non è un parcheggio
prima del lavoro - che non c’è - ma un luogo in cui non si imparano solo noiose
lezioni, ma molte altre cose. Vivere in comunità, rispettare regole e consegne.
Avere un minimo di responsabilità e iniziare a lavorare per raggiungere degli
obiettivi.
Anche la preziosa collaborazione
tra scuola e famiglia si è trasformata in una ridicola battaglia di genitori
ignoranti e arroganti contro docenti impotenti, impauriti e poco tutelati.
Le famiglie? Se non sono
distrutte dalla crisi economica lo sono da quella culturale. In un mondo
normale, alcuni personaggi televisivi, e non, morirebbero di fame sul
marciapiede, non sarebbero un esempio e un modello a emulare.
Dovremmo anche tornare a chiamare
le cose con il proprio nome e non sdoganare la strategia che con un pompino si
può arrivare più in alto che con una laurea.
Ovvio, questa non è una soluzione
ma il tentativo di buttare un goccio d’acqua potabile in un oceano contaminato.
Sono vecchio dentro, meglio così.
Perché essere giovane come alcuni,
mi farebbe perdere il sonno e mi impedirebbe di guardarmi allo specchio senza
provare un misto di vergogna e ribrezzo.
Bene, pur avendo scritto troppo,
ho detto meno di quello che vorrei.
Dicevamo, Nella pancia del mostro
è un romanzo di Dario Villasanta che riprende le fila da Il prezzo (recensito qui) e riporta il lettore nelle vite di Domenico, Giulia e Marina.
Davide Villari è stato rinchiuso
nuovamente in un ospedale giudiziario, ha bisogno di un aiuto per fuggire dalla
pancia del mostro che digerisce tutto e tutti. L’unica sua speranza è quella di
chiedere aiuto a Domenico, ma chi è Davide Villari?
La scrittura è sempre onesta e
sincera, frutto di un’urgenza nel raccontare un’esperienza vissuta in prima
persona dell’autore; quando ci si libera di un passato scomodo ho notato che la
lingua e la penna tendono a essere poco inclini a evoluzioni artistiche o
simpatie da saltimbanco.
Vai a capire perché, ma tendono
sempre a graffiare e mordere chi le incontra.
In merito alla trama. La storia
si forma con il contributo di più personaggi fuori e dentro dall’ospedale
psichiatrico giudiziario e si snoda attraverso la possibilità di redenzione, il
peso della riconoscenza e la speranza di scoprire qualcosa in più sul conto del misterioso
Dax.
Tutto qui? No, il vero motivo per
leggere Nella pancia del mostro è, se non avete paura di uscire dal guscio
delle solite sicurezze, andare a sbattere la faccia sulle prevaricazioni
quotidiane tra i muri di un inferno, l’indifferenza con cui l’incredibile
diventa routine e scoprire quanto il degrado umano e legislativo possa scendere
in basso.
Insomma, andate ad alzare il
tappeto.
Nella pancia del mostro di Dario Villasanta. Lettere Animate Editore. 210 pagine, € 12,35. Disponibile anche in formato elettronico.
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