Per quel che ne sapevo poteva essere
un putter. Non ci voleva un genio, tra le dimensioni ridotte e l’impugnatura di
gomma zigrinata, la mazza dava l'idea di uno spillo fino per cucire qualche
buca nel green.
Non aveva senso ammazzarsi di dubbi,
così ero tornato indietro per piazzare una domanda semplice semplice, ma solo dopo
aver scambiato la testa di Dario per una pallina. “Ehi Tiger Woods, questa che
mazza è?”
“Chi sei, cosa vuoi da me?”
Saltai la mano, passai le risposte e
lo lasciai cuocere nel suo brodo.
“Se mi lasci andare," manco a
dirlo era sbiancato ma proseguì imperterrito a parlare, "ti do tutti i
soldi che ho, tutti quelli che vuoi.”
Ottimista, pensava di cavarsela
pagandomi. “Hai presente Sentenza ne Il buono, il brutto e il cattivo?” chiesi,
giusto per fare un po’ di conversazione.
“No.”
Era chiaro che non avevamo gli stessi
hobby, così mi limitai a ballare la sua musica. “Dove sono i soldi?”
“Nella cassaforte dietro al quadro, la
combinazione è 29011976, la mia data di nascita.”
Intendeva la crosta appesa al muro, una
roba sfocata di macchie gialle su sfondo blu/celeste, un guazzabuglio senza
senso che tentava di imitare la “Notte stellata”.
Roteai come nemmeno un samurai poteva
fare, poi un colpo secco sul ginocchio destro. Serviva per fargli capire che
detesto quelli che non rispondono. Per limitare l’inquinamento acustico, gli
avevo parcheggiato una mano sulla bocca.
“Questo è perché non hai visto il
film, chiaro?" Ci tenevo a puntualizzare.
“Vuoi dirmi che mazza è questa?”
Sbavava sul palmo delle lacrime,
saliva e l'immancabile “ti prego, lasciami andare.”
“Ascoltami: per quanto ti può
interessare, mi hanno già pagato. Allora?”
“Putter, è un putter, serve nel
green.”
Avevo un futuro nel golf.
*
Caro
Daniele,
la
sera in cui ti ho conosciuto ero ubriaca persa, ma ormai non me ne vergogno più
e sai perché? Se fossi stata sobria, non avrei mai avuto l’occasione di
parlarti.
Romina
mi racconta sempre come è andata…
Cercavo
la macchina all’uscita del Fun Club e, dopo parecchi cuba libre, ero un po'
confusa. Credevo di aver lasciato l'auto nel distributore. Quando ti ho visto
fare benzina, mi è attaccato di correrti incontro e accusarti di avermi rubato
l’auto.
Tu
avevi una Clio blu, io una Cinquecento rossa.
Ero
davvero fuori.
Ti
ricordi, vero?
E
tu cosa hai fatto? Ci hai guardato, hai sorriso e hai detto: “dici? Allora
prendila, è tua.”
Mentre
io guidavo la macchina spenta, tu e Romina avete trovato l’auto.
Il
mattino dopo nella borsa ho trovato il tuo biglietto.
“Se
pensi ancora che la mia auto sia tua, telefonami allo….” E c’era il tuo numero
di telefono. Ringrazia Romina, è stata lei a dirmi che valevi una chiamata.
*
Per via del dolore, Dario vibrava
sulla poltrona di pelle verde. Per quanto era sbiancato sembrava un fiocco di
panna moscia spiaccicato su una mela acerba.
Guardavo lo spettacolo di mobilio
costoso sparso in giro per l'appartamento e pensavo: una casa aliena, ecco cosa
mi suggeriva tutta quella foresta di vetro e metallo parcheggiata a cazzo nelle
stanze.
Abbandonato il proposito di indovinare
dove fosse l'indispensabile per il fai da te, chiesi: "hai della corda in
casa?"
“S-si, ne ho.”
“Vuoi essere così gentile da indicarmi
dov’è?”
“A cosa serve?”
In fondo aveva il diritto di sapere.
“Per legarti ed evitare che tu possa
scappare,” passato il putter nella sinistra, con la destra eseguii la magia di
far sbucare una pistola. “Sai, dobbiamo parlare e questa mi serve nel caso in
cui tu abbia ragione e io torto.”
*
Mi
sembra di essere un'adolescente, sono qui che ti penso e ti scrivo una lettera
per ricordarti come ti ho conosciuto. Magari, prima di dartela, la riempio di
cuoricini, che ne dici?
Quante
cose sono cambiate da quando ci siamo conosciuti. Ero incastrata in una vita
che non era la mia. Sentivo il dovere di essere grande, di sposarmi, di fare un
figlio e di arrivare alla pensione. Ma non c’è più un lavoro che sia un lavoro,
i matrimoni durano sempre meno, i figli vanno amati non sfornati, la pensione…
la pensiocosa?
La
tua presenza mi ha strappata da questi schemi e mi hai fatta sentire speciale.
Avevo
scambiato l’abitudine per sicurezza, poi sei arrivato tu.
*
Dario non aveva della corda in casa,
era più un tipo da spago.
Poco male, com'è che si dice in giro?
Esatto, fai quello che puoi con quello che hai.
Mai stato il maestro dei nodi, ma
facevo attenzione a stringere il più possibile per far sprofondare il nylon
nella carne.
Finito di vestire a festa Dario il
salame, vidi che pascolavo su di un meraviglioso tappeto pakistano.
Quante cose sfuggono quando si è
troppo occupati. Finisce che se non stai attento ti scivola tutta la vita sotto
il naso.
Sfondo rosso sangue, disegni
geometrici a tinte bianche e azzurre. I colori della vita, della purezza e
dell'anima intrappolati in parecchi metri di lana.
Per meglio godere dello spettacolo,
spostai un maledetto tavolino a forma di bicchiere.
“Quanto sei alto?” chiesi,
appoggiandomi sul pelo per apprezzarne la trama.
“Uno e settanta." Cercò di capire
cosa stessi combinando. "Non vorrai mica arrotolarmi lì dentro?”
"No, saresti sprecato. Secondo me
con l’affettato ci vuole sempre il pane, non la piadina."
"Eh?"
"Lascia stare, ora che te la
spiego non fa più ridere." Passata la mano contropelo, i colori divennero
più cupi. “Quando fanno uno di questi, i tessitori inseriscono sempre un
difetto. Perché non vogliono competere con Dio, credono che la perfezione sia
una prerogativa divina. Questa storia mi fa pensare ad Aracne, quella delle Metamorfosi
di Ovidio. Hai capito cosa intendo?”
Dario rimase sospeso nel silenzio.
Con la coda dell’occhio vedevo che si
dava un gran da fare per liberarsi. Gli appoggiai il ferro sui testicoli.
“Questa non è un’interrogazione, non lo faccio per darti un voto.”
Dario sembrava fatto di maiolica, bastava
un buffetto per ridurlo in cocci.
“Non hai capito, vero? La morale è che
la disgrazia coglie chi osa sfidare Dio.”
*
Non
ti ho mai ringraziato abbastanza per quello che hai fatto. Ogni volta che
tentavo di farlo, attaccavi con il solito "non ho fatto nulla di
speciale", anzi insistevi nel dire: "quella speciale, tra i due, ero
io."
Ogni
volta ripetevi di non avere alcun merito. Ma sai cosa ti dico signor "non
ho meriti"?
Voglio
invecchiare insieme a te, ma devi fare di me una “donna onesta”.
Non
puoi ancora tirarla per le lunghe, quindi devo chiedertelo io: mi vuoi sposare?
*
Dario Denetti è un architetto di
grido, nel senso che strilli quando vedi quanti zeri riesce a infilare su una
fattura. Comunque, al netto di tutto ciò che può comprare, è solo un ultra
quarantenne con l'occhio di lince, la pancia da palestra e le voglie di un
quindicenne.
“Vedo che hai viaggiato molto.” Condii
le parole con un cenno verso una foto, era solo e in tenuta estiva sulla grande
muraglia. “Esiste una signora Denetti?”
Dario scosse il capo e mi offrì, di
nuovo, dell’altro denaro.
Pensai a cosa avrei potuto fare con
qualche euro in più. “Quanto hai nella cassaforte?”
“Ci sono più di ventimila euro, ma
posso dartene altri se mi lasci fare una chiamata…”
Spezzai le chiacchiere con un gesto.
“ Bastano per pagare un bel
matrimonio, ma non hai ancora risposto alla domanda, dimmi: sei sposato?”
“No, perché ti interessa?”
“Io potevo esserlo, ma grazie a te
sono rimasto single.”
“Allora tu sei Daniele. Non volevo, è
sbucata all’improvviso. Non sono riuscito a evitarla, anche al processo. Tu non
c’eri al processo. Ma lo hanno detto, non è stata colpa mia, è stato un
incidente.”
Gli scaldai le guance con un giro di
schiaffi.
Mi piantò gli occhi addosso: “non so
cosa fare, non è colpa mia, è andata così." Masticava amaro, si era reso
conto di aver detto una sciocchezza di troppo. "Farei qualunque cosa per
cambiare il passato," ora provava a indorare la pillola, " farei
qualsiasi cosa, ma non si può, credimi.”
“Dici?”
*
Si,
ho fatto il primo passo. Secondo me eviti di infilarti l'anello al dito per non
sentirti vecchio, vuoi restare libero… non ho mai creduto alle palle che sei
contro le tradizioni borghesi e tutto il resto.
Conviviamo
da tre anni, ormai non dovresti avere più paura di me.
Dai,
sarai un ottimo marito.
Ti
Amo
Elena.
*
"Ho capito cosa vuoi fare,"
prese fiato, "e se lo farai, ti capisco." Devo dire che s’era calato nella
parte del saggio davanti al plotone, mi aveva quasi convinto.
Gira che ti rigira eravamo arrivati al
buono, dovevo brindare alla memoria di Elena. "Sai come si fa un cuba
libre?" chiesi, mentre perquisivo un improbabile mobile bar.
"Rum, cola e lime, " abbozzava
mentre pensava alle dosi.
"Qui hai solo questo," tirai
fuori una bottiglia targata caraibi e mi versai del rum, molto rum. Colore
ambrato, odore secco. Andava giù che era un piacere ma bruciava dalla gola sino
alle budella.
Mai bevuto in vita mia.
Avevo bisogno di trovare nell'alcool
un po' coraggio per uccidere un uomo. Non era una cosa che facevo tutti i
giorni.
Presi la lettera dalla tasca e la
mostrai a Dario.
“Quel giorno, prima di sapere, ho
trovato questa sul tavolo. Te la leggo, è molto interessante." In principio
fu la bocca impastata, ma niente che non potevo tenere a bada.
Caro Daniele, la sera in cui ti ho
conosciuto ero ubriaca… e via dicendo, ma dallo stomaco mi bussava il rum.
Credo che prese anche un paio di volte l’ascensore ma non ricordo troppo bene,
ero così allegro e leggero.
Volevo far festa.
Quando vidi la macchia di vomito sulla
mia maglia, capii tutto. Un cerchio alla testa piuttosto stretto mi tormentava
e mi impediva di tenere gli occhi aperti. Una crosta sul labbro, forse mi ero messo a baciare il tappeto. Non ero all’Hilton, niente suite di
lusso, solo una stanza grigia spoglia da ogni comfort e con delle robuste
sbarre nere al posto di una parete.
Appena riuscii a guadagnare la
posizione eretta, sbucò un carabiniere.
“Tenente, si è svegliato.”
“Portalo qua,” disse una voce diversa,
modulata sulla frequenza degli ordini.
In quel momento ho sentito Dario
urlare: “dovete metterlo in galera e buttare via la chiave.”
I perfetti piani dell’Altissimo non mi
andavano bene, così ho tessuto la mia trama perfetta per sfidare Dio.
Ho perso e la disgrazia mi ha colto.
Io che ero così ateo e così astemio.
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