Mettetevi l’anima in pace,
evitate battute di spirito e sappiate che i fantasmi esistono. Credo sia
impossibile valutare l’esatta entità dei danni che procurano ogni giorno e di
come stiano dissanguando il tempo presente. No, non sono diventato più matto
del solito, siete voi che vi sbagliate perché vi ostinate a cercare nella notte
una messa in scena di figure sbiadite, lenzuoli e catene ma, prima che
chiamiate la neuro per farmi tornare a casa, meglio se mi spiego.
Negli anni Ottanta ho avuto un’età
compresa tra i quattro e i quattordici anni e, quando non mi annoiavo a scuola,
pedalavo con la bicicletta per uscire con gli amici. Oltre al calcio, una
malattia che infesta il gene italico, anch’io giocavo ai primi giochi di ruolo
e smanettavo sui videogames. Insomma, con trenta anni d’anticipo vivevo più o
meno come uno dei protagonisti di Stranger Things.
La serie tv citata è solo la
punta dell’iceberg, ci sono troppi altri esempi in cui i classici vengono
riattualizzati a suon di dollari a Hollywood e la musica non è davvero
originale ma un’eco di quanto già sentito.
Questo ritorno al passato mi fa
sempre venire in mente la “storiella” della discesa di Ulisse agli Inferi, ve
la ricordate?
Per mettersi a parlare con i
morti deve dar loro del sangue, lo stesso cibo che i vampiri devono succhiare
per sembrare vivi. Senza restare incastrati nella barba di Freud, potrei
mettermi a scrivere che questo elemento rappresenta la vita.
Ed eccoci arrivati ai fantasmi.
Se ci guardiamo un attimo attorno, è facile notare come e quanto molte delle
nostre speranze non siano puntate verso il domani che verrà ma indirizzate a
una sterile riproposizione di quanto è stato. Sprechiamo vita e tempo per
riavere ciò che non ci sarà mai più.
Stiamo sacrificando l’attuale per
nutrire l’ormai trascorso, siamo i migliori complici nella vendetta del morto
sul vivo perché ci lasciamo dissanguare non per scacciarlo ma per essere sempre
più simili a lui.
E chi chiamerai?
No, i Ghostbusters per quanto
simpatici ed efficaci non servono a nulla. L’unico in grado di individuare
subito questa minaccia è il malinconico, non avrebbe alcuna difficoltà a vedere
le scorie della storia che ritornano, però potrebbe essere utile quanto un
gatto nelle sedute spiritiche perché, secondo la tradizione dell’occulto, non è
un animale affidabile in presenza di eventi paranormali; potrebbe mettersi a
fare le fusa anziché controllare che la presenza indesiderata non varchi la
soglia.
Non si può vivere di ricordi né esistere
nell’attimo. Bisognerebbe essere così abili da mescolare al punto giusto i due
ingredienti e volgere lo sguardo al futuro senza incenerirsi per la troppa
speranza.
Il fantasma di San Michele è il
nuovo romanzo di Alessandro Reali edito da Fratelli Frilli Editori. Questa
volta Sambuco e Dell’Oro vengono assunti dall’anziana Alda per indagare sulle
circostanze della morte del marito e scultore Gianni Malatesta. Per le autorità
si tratta di un decesso dovuto a cause naturali ma alcuni testimoni riportano
di avere visto un’ombra vicino all’uomo mentre passeggiava attorno alla
basilica di San Michele.
Un’indagine che oscilla tra la ricerca di un omicidio - se mai c’è stato - e il disperato tentativo di riscoprire il passato della persona cara per mantenerne viva la memoria.
Il punto di forza è la scrittura
con cui Reali narra la storia. Si tratta di uno stile avvolgente, mai impostato
al minimalismo ma in grado di essere totalizzante; l’autore avvolge il lettore
fornendogli come unico punto di riferimento i due protagonisti. Scivola nell’intimità
dei pensieri e delle emozioni del malinconico Gigi Sambuco, colpito da una tragedia e perso a nutrire
qualche fantasma di troppo, e dell’epicureo Selmo Dell’oro sempre pronto a
quantificare il maggior numero di piaceri possibili. Sono tra loro
complementari e questa tensione è la spinta che risolve i casi e dona alla
trama differenti velocità ma senza diventare una turbolenza, una di quelle in
cui si rischia di precipitare nella noia o nell’abbandono del libro sul comodino.
L’universo narrativo è solido, perdura
nei diversi romanzi pubblicati e Reali ha il merito di riuscire a far svanire i
bordi della narrazione come la nebbia fa con il profilo di Pavia.
Direi che sì, mi è piaciuto e ne
consiglio la lettura magari recuperando anche i precedenti.
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